Rimasto in ospedale per la lunga convalescenza, Hawking non respirava
più dalla bocca e dal naso, ma da un piccolo foro permanente che gli era
stato aperto nella gola, più o meno all’altezza del colletto della camicia.
Per comunicare, ormai, poteva solo limitarsi a scandire le parole lettera
per lettera, alzando le sopracciglia quando qualcuno indicava la lettera
giusta su una tabella.
Un inatteso raggio di speranza illuminò l’orizzonte quando un esperto
californiano di informatica, Walt Woltosz, inviò un programma che aveva scritto per la
propria suocera disabile. “Equalizer” permetteva all’utente di selezionare le parole dallo
schermo di un computer e integrava anche un sintetizzatore vocale. Uno degli studenti di
Hawking, in aggiunta, implementò una sorta di mouse, così che Stephen potesse adoperare il
programma tramite un piccolissimo movimento che era ancora in grado di fare, schiacciando questo
interruttore che teneva in mano. Se non ci fosse riuscito, avrebbe potuto attivare il programma
con un movimento della testa o dell’occhio.
Ancora troppo debole e malato per riprendere le sue ricerche, Hawking si mise a far
pratica con il computer. Il primo messaggio che produsse dopo essere riuscito a far dire “Hello”
alla voce del computer – quella voce
sintetizzata che era destinata a diventare famosa in tutto il mondo –, fu per chiedere
allo studente che lo assisteva, Brian Whitt, di aiutarlo a finire di scrivere il suo libro
divulgativo. Prima di rimettersi al lavoro, però, avrebbe dovuto acquistare una maggiore
dimestichezza con Equalizer.
Dopo non molto tempo, comunque, era già in grado di produrre dieci parole al minuto; non
era molto, ma bastò a convincerlo che avrebbe potuto continuare la sua carriera. “Era un
processo un po’ lento,” ha dichiarato “ma io penso lentamente e quindi mi andava molto bene.” In
seguito, la sua velocità sarebbe migliorata: per un certo periodo, riuscì anche a produrre più
di quindici parole al minuto.
Ecco come funzionava il processo (e come funziona tuttora, sia pure
con qualche leggera modifica). Il vocabolario programmato nel computer conteneva più o
meno 2500 parole, circa duecento delle quali erano termini scientifici specialistici. Appare uno
schermo pieno di parole. La metà superiore dello schermo e quella inferiore si illuminano
alternativamente,
avanti e indietro, finché Hawking vede accendersi la metà che contiene la parola che sta
cercando e preme l’interruttore che ha in mano per selezionarla; quindi, le righe di parole in
quella metà dello schermo
si illuminano una dopo l’altra e lui preme di nuovo l’interruttore per
scegliere quella con la parola che gli serve. A questo punto, sono le singole
parole su quella riga a illuminarsi una dopo l’altra e Hawking schiaccia una
terza volta il pulsante per selezionare quella che gli interessa. A volte sbaglia
riga o parola e deve ricominciare da capo. Ci sono alcune frasi compiute
di uso più frequente (come “Per favore, girate la pagina” o “Accendete il
computer da tavolo, grazie”), un alfabeto per comporre i termini non inclusi
nel programma e, così mi han detto, un file speciale di insulti, anche se io non l’ho mai
visto usarlo.
Hawking sceglie le parole a una a una per comporre una frase che appare
nella parte bassa dello schermo; quando ha finito, può inviare il risultato
a un sintetizzatore vocale, che la pronuncia ad alta voce o al telefono. Per
uno strano difetto, il programma non è in grado di pronunciare correttamente
la parola “fotone4.” Hawking può anche salvare il suo lavoro su un disco e stamparlo (o
risistemarlo) in seguito; ha un programma di formattazione
per comporre articoli e può scrivere le sue equazioni in parole, che il
programma traduce poi in simboli.
Hawking scrive le sue lezioni in questo modo e le salva poi su dischi; ha così modo di
ascoltare in anticipo la voce del sintetizzatore che pronuncia il suo discorso e,
all’occorrenza, può quindi correggerlo e sistemarlo.
Durante una lezione, manda il proprio intervento al sintetizzatore una frase alla volta;
nel frattempo, un assistente mostra le diapositive, scrive le equazioni di Hawking sulla lavagna
e risponde ad alcune delle domande.
La voce sintetizzata del computer di Hawking può cambiare intonazione e non suona monotona
come quella di un robot, cosa che per lui è molto importante. All’inizio avrebbe voluto che
avesse un accento britannico,
ma dopo un po’ si era talmente identificato con questa voce che “Non avrei voluto più
cambiarla nemmeno se me ne avessero offerta una dall’accento britannico. Mi sentirei un altro.”
È difficile dire con precisione che accento gli conferisca. Secondo alcuni, è americano o
scandinavo; a me, però, ricorda le Indie orientali, forse per via della sua inflessione
leggermente musicale. Hawking non può comunque dare un tono d’emozione alla sua voce; l’effetto
è misurato, riflessivo, distaccato. Tim pensa che questa voce sia adatta al padre; dei figli di
Hawking, è lui quello che ricorda di meno com’era la vera voce di Stephen, dato che al momento
della sua nascita, nel 1979, della voce originale dello scienziato era ormai rimasto ben poco.
Tutto ciò fa sì che conversare con Hawking sia come parlare a una macchina – qualcosa di
alieno, di fantascientifico? All’inizio un po’ sì, ma ben presto l’interlocutore se ne
dimentica. Hawking è a proprio agio in questa strana situazione ed è paziente quando gli altri
non lo sono. Quando stava leggendo alcune parti di questo libro mentre io gli reggevo le pagine,
fu la sua infermiera, non lui, a suggerire che non era necessario che io attendessi che
selezionasse la frase “Per favore, girate la pagina”, operazione che gli richiedeva di compiere
diverse manovre sullo schermo del computer; non appena iniziava a cliccare, disse l’infermiera,
avrei potuto girare la pagina e risparmiargli tempo e fastidi.
Dal canto suo, lui aveva sopportato con pazienza per unora e mezza il
mio modo di fare le cose senza farmi notare che gli stavo creando dei disagi. (Tra
parentesi, però, al successivo “clic” di Hawking io gli voltai subito la pagina, ma lui non
intendeva chiedere che gliela girassi: voleva invece fare un commento…)
da K. Ferguson, Stephen Hawking, Una vita alla ricerca della teoria del tutto, Rizzoli,
Milano, 2011