Un gioco fantastico! Mai s’erano divertiti tanto! I bambini correvano da ogni parte sui
verdi tappeti erbosi, chiamandosi a gran voce, tenendosi per mano, e questi facevano il
girotondo, quelli si arrampicavano sugli alberi, tutti ridevano. Sopra le loro teste passavano
le spaziose navi, alte nel cielo, e accanto a loro, nelle vie, sibilavano rapidi gli autogetti,
ma i bambini indifferenti a tutto, continuavano a giocare.
Una gioia, una vera festa, una febbre di salti, di ruzzoloni, di altissimi strilli.
Mink entrò in casa di corsa, sporca e sudata dalla testa ai piedi. A sette anni, era una
bambina robusta, decisa. Sua madre, la signora Morris, riuscì a parlarle solo per pochi istanti
mentre Mink apriva di schianto un cassetto dopo l’altro e scaraventava fragorosamente in un
grosso sacco padelle e arnesi d’ogni genere.
– Ma si può sapere cosa sta succedendo, Mink?
– Un gioco fantastico! – disse Mink, rossa in volto e ansante. In un attimo era partita
come un razzo.
La signora Morris la rincorse. – Come si chiama questo gioco nuovo? – L’Invasione! – gridò
Mink. La porta sbatté rumorosamente.
In tutti i cortili, in tutti i giardini lungo la via, i bambini portavano fuori coltelli e
forchette e attizzatoi e vecchi tubi di stufa e apriscatole.
Interessante che a questo frenetico trambusto partecipassero soltanto i bambini piccoli. I
più grandi, dai dieci anni in su, mostravano per il nuovo gioco il massimo disprezzo e se ne
stavano altezzosi a giocare per conto proprio a guardie e ladri.
La madre di Mink, da una finestra al piano di sopra, guardava il prato.
I bambini. Li guardava e infine scosse il capo. Mangiavano molto, dormivano molto, il
lunedì sarebbero tornati a scuola. Benedetti quei loro corpicini robusti. Tese l’orecchio.
Mink parlava fitto a qualcuno vicino al cespuglio di rose… sebbene non si vedesse nessuno,
da quella parte.
Questi strani bambini. E l’altra bambina, così piccola, come si chiamava? Anna? Anna
prendeva appunti su un taccuino. Prima Mink faceva una domanda al cespuglio di rose e poi
gridava la risposta a Anna.
A pranzo Mink trangugiò il suo latte d’un fiato e corse alla porta. Sua madre picchiò il
palmo sulla tavola.
– Torna subito qui a sederti – ordinò la signora Morris. – Minestra calda in un attimo. –
Premette un bottone rosso sul servocucina, e dieci secondi dopo si sentì un tonfo nel
ricettacolo di gomma. La signora Morris l’aprì, ne trasse una latta con due manici di alluminio,
ne fece saltare con uno scatto il coperchio e versò la minestra nel piatto. Mink non riusciva a
star ferma. – Presto mamma, presto! È questione di vita o di morte! Senti…
– Alla tua età ero la stessa. Sempre questione di vita o di morte. Lo so.
Mink mandava giù la minestra a gran colpi di cucchiaio.
– Adagio – disse sua madre.
– Non posso – disse Mink. – Drill mi aspetta.
– Chi è Drill? Che strano nome.
– Non lo conosci – disse Mink.
– È un bambino nuovo qui del quartiere?
– Per nuovo è nuovo – disse Mink. Attaccò il secondo piatto di minestra.
– E dove abita questo Drill? – chiese sua madre.
– Qui in giro – disse Mink evasivamente – Ti metteresti a ridere. Tutti si mettono a
ridere. Ecco perché.
– Ma è timido questo Drill?
– Sì. No. In un certo senso. Senti mamma, adesso devo correre se vogliamo che riesca
l’Invasione!
– L’Invasione di chi, di che cosa?
– I marziani che invadono la Terra. Be’, non sono proprio marziani. Vengono da… non so. Da
su. – Alzò il cucchiaio.
– E da dentro – disse la madre, toccando la tempia scottante di Mink.
Mink protestò. – Ecco che ti metti a ridere, vedi? Ucciderai Drill e tutti quanti.
– Per carità, non potrei mai perdonarmelo – disse la signora Morris.
– E così Drill è un marziano?
– No. È… insomma, forse viene da Giove o da Saturno o da Venere. Comunque, se l’è passata
brutta.
– Lo immagino – disse la signora Morris, nascondendo la bocca dietro la mano.
– Non riuscivano a trovare un modo di attaccare la Terra.
– Il fatto è che noi siamo inespugnabili – disse la signora Morris, con finta gravità.
– Ecco! È proprio la parola che ha detto Drill! Ine… La stessa identica parola, mamma!
– Ma allora Drill è proprio un bambino intelligente. Paroloni così lunghi.
– Non riuscivano a trovare il modo di attaccare, mamma. Drill dice… dice che per
combattere bene bisogna trovare un modo di sorprendere il nemico. È la sorpresa che fa vincere.
E dice anche che bisogna avere un aiuto nel campo nemico.
– La quinta colonna – disse la mamma.
– Appunto. Così ha detto. E loro non riuscivano a trovare il modo di sorprendere la Terra
o di trovare aiuto. Finché un giorno – disse in un sussurro melodrammatico, – pensarono ai
bambini! E pensarono che i grandi hanno sempre tanto da fare, che non guardano mai sotto i
cespugli di rose e nei prati!
– Solo per cercare lumache o funghi.
– E poi ha detto qualcosa sulle dim-dim.
– Dim-dim?
– Dimen-zioni.
– Dimensioni?
– Ce n’è quattro! E poi ha detto qualcosa sui bambini sotto i nove anni e la fantasia. Ti
dico, è uno spasso sentir parlare Drill.
La signora Morris aveva perso interesse. – Lo credo, lo credo. Ma non devi farlo
aspettare, il tuo Drill. Si fa tardi e se volete avere la vostra Invasione prima del bagno di
stasera, è meglio che ti sbrighi.
– Dovrò proprio farlo, il bagno? – brontolò Mink.
– E come! Mi piacerebbe sapere perché voi bambini non potete soffrire l’acqua. In tutte le
epoche della storia, i bambini non hanno mai sopportato l’acqua dietro le orecchie.
– Drill dice che dopo non dovrò più fare nessun bagno – disse Mink.
– Il tuo signor Drill dovrebbe pensarci due volte prima di dire queste cose. Voglio un po’
telefonare a sua madre e…
– Ciao mamma! – Mink corse fuori, poi rimise dentro la testa.
– Mamma, gli dirò che a te non facciano troppo male. Giuro.
– Grazie, grazie – disse la mamma.
La porta si chiuse con fracasso.
Alle quattro il fonovisore mandò un breve ronzio. La signora Morris
fece scattare il pulsante. – Ciao Helen! – disse. – Ciao Mary. Come vanno le cose a New
York?
– Bene. E da voi a Scranton? Hai l’aria stanca.
– Anche tu. I bambini. Non riesco più a tenerli – disse Helen.
La signora Morris sospirò. – Mink è allo stesso punto. La super-Invasione.
Helen rise. – Anche i tuoi bambini giocano lo stesso gioco?
– Sì, purtroppo. Domani saranno i babau geometrici o i trampoli motorizzati. Eravamo così
terribili anche noi, ai nostri tempi?
– Peggio ancora. Ricordati: allora erano i giapponesi e i nazisti. Non so come facessero a
sopportarmi i miei. Ero una furia.
In quel momento Mink trotterellò in cucina a buttar giù d’un fiato un bicchier d’acqua. La
signora Morris si volse a lei:
– Come vanno le cose?
– Quasi finito. L’ora zero è alle cinque. Ciao!
– Mink uscì.
* * *
Il tempo passava. Uno strano silenzio d’attesa scese sulla strada, assorbendo tutto. Le
cinque. In qualche stanza della casa un orologio cantò in una placida voce musicale: – Le
cinque, le cinque. Il tempo vola. Sono le cinque, – e si spense in un sussurro. L’ora zero. La
signora Morris ebbe una risatina in gola. L’ora zero. Un autogetto atterrò nel viale ronzando.
Il signor Morris. La signora Morris sorrise. Il signor Morris scese dalla macchina, chiuse lo
sportello, e gridò un saluto a Mink, ancora tutta presa dal suo lavoro. Mink lo ignorò. Suo
padre si mise a ridere e si fermò un istante a guardare i bambini. Poi salì i gradini d’entrata.
– Ciao cara.
– Ciao Henry.
La signora Morris si sporse in avanti sulla poltrona, tendendo l’orecchio. I bambini erano
silenziosi, ora. Troppo silenziosi. Henry vuotò la pipa, tornò a riempirla.
– Giornata magnifica. Si è contenti di essere al mondo.
Si udì un ronzio.
– Che cos’è? – chiese Henry.
– Non lo so. – La signora Morris si alzò di scatto, gli occhi sbarrati. Stava per dire
qualcosa. Si fermò in tempo. Ridicolo. Aveva i nervi scoperti. – Quei bambini non hanno niente
di pericoloso là fuori, vero? – disse.
– Solo tubi e martelli. Perché?
– Niente di elettrico?
– No – disse Henry. – Ho guardato.
Il ronzio si fece più forte.
– Cosa stanno combinando? Hai ragione, è meglio che vada a dare un’occhiata.
L’esplosione!
Tutta la casa tremò in quel sordo rimbombo. In altre case, in altre strade, vi furono
altre esplosioni. Involontariamente la signora Morris gridò. – Presto, di sopra! Nell’attico! È
successo là!
Fuori vi fu un’altra esplosione. I bambini gridavano di gioia, come davanti a meravigliosi
fuochi d’artificio.
– Non è nell’attico! – gridò Henry. – È di fuori!
– No, no! – Rantolando, il cuore in tumulto, sua moglie armeggiava con la maniglia. – Ti
farò vedere! Presto! Ti faccio vedere!
Si precipitarono incespicando nell’attico. La signora Morris sbatté la porta, la chiuse a
chiave, prese la chiave e la gettò in un angolo lontano del sottotetto.
Anche Henry cominciò a urlare, ma per un’altra ragione. – Sei impazzita? Perché hai
gettato via la chiave? Cosa ti è preso?
– Parla piano. Ci sentiranno. Oh, Dio, ci troveranno, ci troveranno lo stesso…
Al piano di sotto, la voce di Mink. C’era un immenso ronzio, un alto sibilo, e grida, e
risate.
– Chi è entrato? – gridò Henry, rabbioso. – Chi va a spasso in casa mia?
Piedi pesanti. Venti, trenta, quaranta, cinquanta. Cinquanta persone che si affollavano
entro la casa. Il sibilo. Le risa dei bambini. – Da questa parte! – gridò Mink.
– Chi c’è laggiù? – ruggì Henry. – Chi è?
– Shhhh! Nononononono! – disse sua moglie debolmente, aggrappata a lui. – Per carità, fa’
piano. Forse se ne andranno.
– Mamma? – chiamò Mink. – Papà? – Una pausa. – Dove siete?
Passi pesanti, passi molto pesanti, pesantissimi passi cominciarono a salire le scale.
Mink in testa. – Mamma? – Un’esitazione. – Papà? – Attesa, silenzio.
Tremavano stretti in silenzio nell’attico. Il signor e la signora Morris. Ed ecco che quel
sibilo elettrico, quella strana luce gelida improvvisamente visibile sotto la fessura della
porta, lo strano odore e l’insolita nota di serietà nella voce di Mink, fecero tacere anche
Henry. Egli rabbrividì nel silenzio buio, accanto a sua moglie.
– Mamma! Papà!
Passi. Un sibilo breve. La serratura era fusa. La porta si aprì. Mink scrutò nell’interno,
alte ombre azzurre dietro di lei…
– Buuuu! – disse Mink.