Dopo cinquant’anni di tentativi inutili, i fisici si disinteressarono al problema
convinti di essere arrivati a un punto morto. Ripensandoci, non posso dar loro torto.
Qualcuno era arrivato perfino a sostenere che i cronocanali non mostravano immagini del passato,
ma in questo sbagliavano perché erano apparse troppe volte immagini sia pur fuggevoli di animali
ora estinti.
Comunque, quando nessuno pensava più ai viaggi nel tempo, arrivò mio padre che, essendo
riuscito a ottenere una concessione governativa
dopo aver garantito di essere in grado di costruire un cronocanale di sua
invenzione, riportò il problema alla ribalta.
A quei tempi io ero appena laureato in fisica e gli facevo da assistente.
Ma nonostante tutti i nostri sforzi, dopo circa un anno ci trovammo nelle
peste. Papà aveva delle difficoltà col governo che si rifiutava di rinnovargli
la concessione. L’industria privata non aveva interesse a finanziare i suoi esperimenti e
l’università era del parere che fosse dannoso alla sua
reputazione se mio padre si incaponiva a battere una strada che, secondo
il parere di tutti, finiva in un vicolo cieco. Il rettore, a cui interessava solo il
lato finanziario della scienza, cominciò a insinuare che avrebbe potuto
occuparsi di faccende più redditizie, e finì col cacciarlo via.
Bene o male riuscimmo a cavarcela. Lasciammo luniversità e ci installammo qui, portando
le attrezzature che papà aveva comprato coi soldi del governo.
I primi anni furono terribili e più volte insistetti con mio padre perché si desse per
vinto. Ma lui non avrebbe rinunciato mai. Era indomabile. Riusciva sempre, in un modo o
nell’altro, a trovare i fondi necessari.
Il tempo passava, la vita continuava, ma lui non permise mai che gli eventi
intralciassero il suo lavoro. Mia madre morì, lui la pianse e tornò al lavoro.
Io mi sposai, ebbi un figlio e poi una figlia, non mi fu possibile stargli sempre
vicino. Lui continuò imperterrito anche senza di me. Si ruppe una gamba e
continuò a lavorare con l’arto ingessato. Per questo sostengo che tutto il merito va a
lui. D’accordo, lho aiutato in molti modi, ma lui era l’anima e la vita stessa del progetto.
Nonostante tutta la sua dedizione, i risultati erano sempre di là da venire.
Era come se avesse versato i quattrini che riusciva a scroccare dentro ai cronocanali…dove
però non sarebbero passati.
Una volta però riuscimmo a uncinare il passato. Fu una questione di
pochissimi secondi, ma nel Mesozoico ci dev’essere tuttora un pezzo di
filo d’acciaio che sta arrugginendo in riva a un fiume.
Poi, un giorno, il giorno decisivo, riuscimmo a mantenere a fuoco il passato per ben dieci
minuti… quando la probabilità di riuscirci era una su parecchi miliardi. Signore, come eravamo
eccitati! Riuscivamo a scorgere all’altro capo del canale diversi animali in movimento…
Poi, per coronare l’opera, il cronocanale diventò permeabile tanto che ci sembrava di
essere stati trasportati anche noi nel passato, non di vederlo soltanto. Il fenomeno dipendeva
probabilmente dall’eccezionale durata della messa a fuoco, tuttavia non fummo in grado di
provarlo.
Come sempre capita quando cè bisogno di una cosa, non avevamo uncini
a portata di mano, ma grazie alla permeabilità6 qualcosa riuscì a passare
dal passato al presente. In preda allo sbalordimento, agendo d’istinto, allungai la mano e
l’afferrai.
In quell’attimo la messa a fuoco cessò, ma non ci badammo neanche.
Non riuscivamo a distogliere gli occhi dall’oggetto che avevo afferrato: era
un blocco di fango secco, tranciato di netto nel punto dove aveva urtato contro il bordo
del cronocanale, e, dentro al fango, c’erano quattordici uova,
grosse pressappoco come uova d’anitra.
– Uova di dinosauro? – dissi io. – Credi che siano uova di dinosauro?
– Forse, ma come facciamo a saperlo? – rispose mio padre.
– Potremmo covarle – ribattei in preda a un’agitazione incontrollabile.
Le deposi con estrema cura, come se fossero di platino. Erano tiepide per il calore del
sole primevo. – Papà – dissi – se le facciamo covare otterremo
degli animali estinti da milioni di anni. Sarà la prima cosa veramente
arrivata dal passato. Se renderemo di dominio pubblico la notizia…
Pensavo ai quattrini che avremmo ottenuto, alla pubblicità, a tutto quello
che un simile risultato poteva significare per mio padre. Ma lui era di parere
diverso.
– Che nessuno sappia niente, figliolo – disse con piglio deciso. – Non una parola. Se lo
si venisse a sapere, chissà quanti tornerebbero a occuparsi
dei cronocanali, e magari qualcuno riuscirebbe a risolvere il problema dei
viaggi nel tempo prima di me. No, finché non lavrò risolto non diremo
niente. Non fare quella faccia, figliolo. Sono sicuro che entro un anno avrò
trovato la soluzione.
Io non ero così fiducioso, ma ero convinto che le uova avrebbero fornito
tutte le prove necessarie a dimostrare la validità dei nostri esperimenti. Allestii
un’incubatrice e la dotai di un sistema dallarme che sarebbe entrato in funzione appena
le uova avessero cominciato a schiudersi. L’allarme suonò alle tre di notte, diciannove giorni
dopo, e dalle uova uscirono quattordici animali che parevano canguri, piccoli, coperti di squame
verdastre, con artigli alle estremità delle zampine anteriori, coscette grasse e code lunghe e
sottili.
Dapprima pensai che fossero tirannosauri, ma erano troppo piccoli. Col passare dei mesi,
potei constatare che le loro dimensioni non avrebbero superato quelle di un cane di taglia
media.
Papà era deluso, ma io tenni duro, continuando a sperare che prima o poi
mi avrebbe permesso di usare quelle bestie per fini pubblicitari. Una morì
prima di aver raggiunto la maturità e unaltra fu uccisa durante una zuffa.
Ma le altre dodici sopravvissero: cinque maschi e sette femmine. Le alimentavo con pezzi
di carota, uova sode e latte, e finii con l’affezionarmici.
Erano paurosamente stupide, ma miti… e così belle, con quelle scaglie…
Be’, è inutile che le stia a descrivere. La prima foto pubblicitaria ha fatto il
giro del mondo, forse la conoscono anche su Marte… ma questo non c’entra.
Tuttavia dovette passare del tempo prima che il pubblico potesse vedere le foto, non
parliamo poi delle bestie in carne e ossa. Papà era intransigente.
Passarono così tre anni, durante i quali non riuscimmo a risolvere niente coi
cronocanali. Quell’unica, fortunata esperienza non si ripeté più. Ma mio
padre non demordeva.
Intanto cinque femmine avevano deposto le uova e ben presto mi trovai tra le braccia
cinquanta bestiole.
– Cosa dobbiamo farne? – domandai.
– Ammazzali tutti – disse mio padre.
Cosa che io mi guardai bene dal fare.
Eravamo agli sgoccioli, quando successe. Nonostante i miei ripetuti tentativi,
nessuno voleva più finanziarci. In fondo non mi dispiaceva, perché pensavo che così mio
padre si sarebbe finalmente dato per vinto. Invece, protendendo il suo mento volitivo,
quell’uomo indomabile si accinse a un altro esperimento.
Giuro che se non si fosse verificato lincidente non avremmo mai scoperto la verità, e
l’umanità sarebbe stata privata di uno dei suoi beni più grandi.
Sono cose che capitano, a volte. Perkin notò una macchia bruna in un liquido oleoso e
scoprì l’anilina. Remsen si portò alla bocca un dito sporco e scoprì la saccarina. Goodyer
lasciò cadere qualche goccia di una sua miscela su una stufa e scoprì il segreto della
vulcanizzazione.
Nel nostro caso, si trattò di un dinosauro adolescente che passeggiava nel
nostro laboratorio. Erano talmente tanti, che non riuscivo a stare dietro a tutti.
La bestiola si trovò a passare fra due contatti aperti, proprio nel punto immortalato poi
dalla lapide commemorativa. Sono convinto che una
coincidenza simile non potrebbe ripetersi nemmeno in un migliaio di anni.
Ci fu un lampo accecante, un cortocircuito che bruciò tutto, e il cronocanale
che stavamo installando svanì in un arcobaleno di scintille.
Ma nemmeno allora ci rendemmo subito conto della fortuna che ci era caduta in grembo.
Tutto quel che sapevamo era che la bestiola aveva provocato un cortocircuito distruggendo
apparecchiature del valore di duecentomila dollari e, di conseguenza, che eravamo rovinati.
Tutto quel che ci rimaneva era un dinosauro arrosto. Anche noi eravamo rimasti lievemente
ustionati, ma il
dinosauro si era preso in pieno la scarica dei campi denergia. Bastava annusare l’aria
per capirlo. Io e papà annusammo e poi ci guardammo in faccia perplessi.
Poi io mi decisi, afferrai un paio di pinze e… all’esterno era completamente
carbonizzato, ma le scaglie si staccarono appena toccate, portandosi appresso la pelle e,
sotto, la carne era bianca e soda come quella dei polli.
Non resistetti alla tentazione di assaggiarla e scoprii che somigliava al pollo come Giove
somiglia a un asteroide.
Che mi crediate o no, pur sapendo di essere rovinati, ci mettemmo a sedere
e divorammo il dinosauro. Eravamo al settimo cielo. Non era cotto a puntino: qualche parte
bruciata, altre crude. Non era condito… e nonostante questo non smettemmo di mangiare finché
rimasero solo le ossa.
– Papà – dissi poi – dobbiamo farne un allevamento!
Lui fu costretto ad accettare la mia proposta. Eravamo completamente a
terra e non aveva scelta.
Riuscii a ottenere un prestito dalla banca dopo aver invitato a pranzo il
direttore e avergli fatto assaggiare un dinosauro arrosto.
E, da allora, gli affari sono sempre andati a gonfie vele. Nessuno che abbia
assaggiato una volta quelli che adesso chiamiamo tutti “dinopolli” può
più farne a meno. Un pasto senza dinopollo è qualcosa che serve a malapena a tenere
insieme corpo e anima. Solo il dinopollo è un vero cibo.
La nostra famiglia possiede tuttora lunico branco di dinopolli esistente
e noi siamo gli unici fornitori della catena mondiale di ristoranti, la prima e
la più antica.
Povero papà! Non ottenne mai soddisfazione, salvo che quando mangiava
carne di dinopollo. Continuò a lavorare con i cronocanali, e altrettanto
fecero almeno una ventina di gruppi di ricercatori che, come lui aveva predetto, si
precipitarono subito a imitarlo. Ma fino a tutt’oggi non se ne è
ricavato niente. All’infuori dei dinopolli.
L’umanità, grata, raccolse cinquantamila dollari che servirono alla costruzione
della statua eretta sulla collina. Ma nemmeno questo omaggio bastò a rendere felice papà.
da I. Asimov, Tutti i racconti, Vol. II, Parte prima, A. Mondadori, Milano 1995