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L’UOMO CHE DORMI’ DURANTE LA FINE DEL MONDO


Era un tipo sempre sonnacchioso. E sempre pronto ad addormentarsi.
In qualunque luogo. Durante i più grandi raduni, tutti i concerti, alle riunioni più importanti, lo si poteva vedere seduto e addormentato.
Dormiva in tutte le posizioni possibili, e anche in quelle impossibili.
Dormiva con i gomiti all’aria e con le mani dietro la testa. Dormiva in piedi, appoggiandosi a se stesso per non cadere. Dormiva a teatro, nelle strade, nella sinagoga1. Dovunque andasse, i suoi occhi grondavano sonno.
I vicini dicevano che era già rimasto addormentato durante sette grandi incendi, e una volta, quando il fuoco era davvero smisurato, lo portarono fuori dal letto mentre ancora dormiva e lo depositarono sul marciapiede. E là per terra egli rimase a dormire per parecchie ore, finché giunse una macchina della polizia che lo portò via.
Si diceva anche che mentre stava sotto il baldacchino nuziale e recitava i voti solenni: «Tu sei a me…», si addormentò alla parola «santificata», e dovettero picchiarlo in testa con un pestello di ottone per diverse ore per riuscire a svegliarlo. recitò lentamente la parola che seguiva, poi si addormentò di nuovo.
Vi racconto tutto questo affinché possiate credere alla storia che segue e che riguarda il nostro eroe.
Una volta, se ne andò a dormire e dormì, dormì, dormì senza soste; veramente nel sonno gli parve di udire un tuono nella strada e che il suo letto si scuotesse; ma, sempre addormentato, pensò si trattasse di un temporale, e come risultato il suo sonno gli parve ancor più delizioso. Si avvolse ben bene nella trapunta e nel suo calore. Quando si svegliò vide uno strano vuoto: sua moglie non c’era più, il suo letto non c’era più, la sua trapunta non c’era più. Voleva guardar fuori dalla finestra, ma non c’era più nessuna finestra dalla quale guardar fuori. Voleva fare di corsa i tre piani di scale e gridare «Aiuto!», ma le scale erano scomparse: non c’erano gradini da discendere e neppure l’aria in cui gridare. E quando volle uscire dalla porta, la porta non esisteva più, e al di là non c’era più nulla. Tutto sparito!
Per un po’ se ne ristette, confuso, incapace di comprendere cosa fosse accaduto. Ma poi pensò: «Me ne vado a dormire». E allora si accorse che non c’era più alcuna terra su cui dormire. Solo allora si batté due dita sulla fronte e rifletté: «È chiaro che ho dormito durante la fine del mondo. Non è una faccenda elettrizzante?»
Però si sentiva depresso. «Non c’è più il mondo», pensava. «Cosa farò senza un mondo in cui vivere? E cosa farò se mi viene voglia di dormire? Su che cosa mi stenderò se non c’è più il mondo? E se mi duole la schiena? E chi finirà tutto quel
lavoro arretrato in bottega? E se desidero una birra, dove la troverò?»
«Eh, eh», pensò, «si è mai visto niente di simile? Un uomo si addormenta con il mondo sotto la testa e si sveglia senza più nulla!»
Mentre il nostro eroe rifletteva così, standosene in mutande, in dubbio su cosa fare, gli attraversò la mente un pensiero: «Vada pure tutto al diavolo! Il mondo non c’è più, e allora? Che bisogno ho io del mondo? È sparito, e va bene; posso sempre andare al cinema per passare il tempo». Ma fu stupefatto quando scoprì che, insieme con il mondo, era scomparso anche il cinema.
«Un bel guaio, e ci sono dentro fino al collo», pensò il nostro eroe lisciandosi i baffi. «Un bel guaio, un grosso pasticcio ho fatto, mettendomi a dormire! Se non avessi dormito così profondamente», si rimproverò da solo, «almeno sarei sparito anch’io con tutto il resto.
Sono rimasto solo e abbandonato: dove troverò una birra? Mi piace berne un bicchiere al mattino. E mia moglie? Chissà con chi è sparita. Se è con quello che ha una stireria al piano di sopra, la uccido, com’è vero Dio! E chissà che ore sono?»
Così dicendo, il nostro eroe volle guardare l’orologio, ma non lo trovò. Cercò con entrambe le mani nella tasca sinistra, nella destra, in tutto quell’infinito vuoto che lo circondava, ma non trovò nulla da toccare.
«Ho pagato due dollari per quell’orologio ed è già sparito», pensò.«E va bene. Se è stata la fine del mondo, il mondo è finito. Non è questo che mi interessa. Non è mio, il mondo. L’orologio sì! Perché è sparito anche il mio orologio? Era nuovo. Costava due dollari. Non l’avevo neppure ancora caricato. E dove mai troverò un bicchiere di birra?
Non c’è niente di meglio di una birra al mattino. E chissà se mia moglie… Ho dormito durante tutta la catastrofe, merito il peggio. Aiuto! Aiuto! Aiuto! Dove avevo la testa? Perché non ho tenuto d’occhio il mondo, e mia moglie anche? Perché li ho lasciati sparire quando erano ancora così giovani?»
E il nostro eroe batté la testa contro il vuoto, ma siccome il vuoto è privo di sostanza, non si fece alcun male e rimase vivo per raccontare questa storia.

(da M. Nadir, Il meglio dei racconti Yiddish, vol. 2°, Milano, Mondadori, 1985, riduzione)
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