Era settembre. Gli ultimi giorni di settembre, quando le cose si fanno tristi
senza una ragione. La spiaggia era lunga e solitaria, con solo sei persone.
I bambini smisero di far rimbalzare la palla perché, in qualche modo, il vento aveva
rattristato anche loro, fischiando come fischiava, e i bambini si sedettero e sentirono
arrivare l’autunno lungo la spiaggia infinita.
Tutti i baracchini degli hot-dogs erano stati chiusi con assi di legno dorato,
che sigillavano dentro lodore di senape, cipolle e carne della lunga estate
gioiosa. Era come rinchiudere lestate in una serie di bare. Uno a uno, i locali
chiudevano, mettevano i lucchetti alle porte, e arrivava il vento a toccare la sabbia,
spazzando via il milione dimpronte di luglio e agosto.
Stetti fermo. Tutti gli altri erano a scuola, io no. Domani sarei stato su un treno,
diretto a ovest attraverso gli Stati Uniti. La mamma ed io eravamo
andati sulla spiaggia per un ultimo momento.
In quella solitudine cera qualcosa che mi fece venire la voglia di andarmene
da solo. – Mamma, voglio fare una corsa sulla spiaggia.
– Va bene, ma torna presto e non avvicinarti all’acqua.
Corsi via. La sabbia schizzava sotto i miei piedi e il vento mi sollevava.
Sapete com’è, quando si corre con le braccia spalancate in modo da sentire
dei veli sulle dita, causati dal vento. Simili ad ali.
La mamma si ritrasse in lontananza, seduta. Presto fu solo una macchia
scura, ed io ero solo.
Scesi in acqua e lasciai che salisse fredda contro il mio stomaco. Prima
d’allora, con la gente, non avevo mai osato guardare, venire in quel punto
e cercare nell’acqua e chiamare un certo nome. Ma ora…
L’acqua è come un mago. Che ti sega a metà. È come se ti tagliassero in due, con una
parte di te, la parte inferiore, che si scioglie, si dissolve. Acqua
fredda, e di tanto in tanto unonda che rotola elegante, con un ghirigoro
di pizzo.
Chiamai il nome di lei. Una decina di volte, lo chiamai.
– Tally! Tally! Oh, Tally!
Strano, ma quando si è giovani ci si aspetta veramente che qualcuno risponda ai nostri
richiami. Si è convinti che qualunque cosa si pensi, possa
realizzarsi. E a volte, forse, non è neanche tanto sbagliato.
Pensai a Tally che, il maggio precedente, nuotava nell’acqua, con la coda di cavallo
che galleggiava, bionda. Continuava a ridere, e il sole batteva sulle sue piccole spalle da
dodicenne. Pensai all’acqua che si calmava, al bagnino
che ci saltava dentro, alla madre di Tally che urlava, e a come Tally non era
più venuta fuori…
Il bagnino aveva tentato di convincerla a venir fuori, ma lei non aveva voluto. Il
bagnino era tornato con solo pezzi dalga sulle dita tozze, e Tally era scomparsa. A scuola
non sarebbe più stata seduta vicino a me, e non avrebbe più dato calci alle palle sulle
strade nelle notti estive. Era andata
troppo al largo, e il lago non le aveva permesso di tornare.
E ora, nell’autunno solitario, quando il sole era enorme e l’acqua era enorme e la
spiaggia lunghissima, ero andato là per l’ultima volta, solo.
Continuai a chiamare il suo nome. Tally, oh Tally!
Avevo solo dodici anni. Ma sapevo quanto lamavo. Quel tipo d’amore che arriva prima
di qualunque significato di corpo o di morale. Quel tipo d’amore che non è più cattivo del
vento e del mare e della sabbia sdraiati vicini per sempre. Era fatto di tutti i lunghi
giorni caldi sulla spiaggia, e di tutti i silenziosi giorni bisbiglianti del ronzante
insegnamento a scuola.
Tutti i lunghi giorni dautunno degli anni passati, quando io portavo i libri
di Tally da scuola a casa.
Tally!
Chiamai il suo nome per lultima volta. Rabbrividii. Mi sentii l’acqua sulla faccia,
senza capire come ci fosse arrivata. Le onde non erano schizzate
tanto in alto.
Mi girai e mi ritirai sulla sabbia. E rimasi là per mezz’ora, a sperare di cogliere
un’immagine, un segno, un pezzettino di Tally da ricordare. Poi m’inginocchiai e costruii un
castello di sabbia, modellandolo con cura,
costruendolo come ne avevamo costruiti tanti io e Tally insieme. Ma questa volta ne
costruii solo metà. Poi mi alzai.
– Tally, se mi senti, vieni a costruire il resto.
M’incamminai verso la macchia lontana che era la mamma. L’acqua salì, ammorbidì il
castello cerchio per cerchio, appiattendolo poco a poco nella levigatezza originale.
Il giorno dopo, me ne andai sul treno.
I treni hanno la memoria corta; presto si lasciano tutto alle spalle. Dimenticano i
campi di granoturco dell’Illinois, i fiumi dell’infanzia, i ponti,
i laghi, le vallate, le casette, i dolori e le gioie. Li sparpagliano dietro di sé,
e loro si appiattiscono nell’orizzonte.
Mi si allungarono le ossa, si coprirono di più carne, la mia mente cambiò
per farsi più vecchia, buttai via i vestiti di mano in mano che non mi stavano più,
passai dalle medie al liceo, poi ai libri universitari, ai libri di legge. E poi vi fu una
ragazza, a Sacramento. La frequentai per un po’, e ci sposammo.
Continuai a studiare legge. A ventidue anni, avevo quasi dimenticato come fosse l’Est.
Margaret suggerì di andare da quelle parti a trascorrere la nostra luna di miele
tardiva.
Come la memoria, i treni funzionano nei due sensi. Un treno può ributtarti
addosso tutti i ricordi che ti sei lasciato dietro tanti anni prima.
Lake Bluff, abitanti diecimila, spuntò nel cielo. Margaret era molto bella, nel
vestito nuovo. Mi osservò, mentre io sentivo il mio vecchio mondo riprendermi dentro di sé.
Mi tenne per un braccio quando il treno entrò nella stazione di Bluff e mentre il nostro
bagaglio veniva portato fuori.
Ci fermammo due settimane in tutto, rivisitando insieme tutti i posti.
Giorni felici. Pensavo di amare Margaret. Se non altro, lo pensavo.
Fu uno degli ultimi giorni, che andammo sulla spiaggia. La stagione non era ancora
inoltrata come quel giorno di tanti anni prima, ma sulla spiaggia c’erano già i primi segni
della diserzione. La gente era più rada, i primi botteghini di hot-dogs erano già chiusi e
con le assi inchiodate, e il vento, come sempre, ci aspettava per cantarci la sua canzone.
Quasi vidi la mamma, seduta sulla sabbia com’era solita fare. Di nuovo provai quella
voglia di restare solo. Ma non riuscivo a costringermi a dirlo a Margaret. Rimasi con lei e
aspettai.
Il giorno andò verso la sua fine. La maggior parte dei bambini erano
andati a casa, e restavano pochi uomini e poche donne a crogiolarsi al
sole ventoso.
La barca del bagnino si avvicinò alla riva. Il bagnino ne scese lentamente,
con qualcosa sulle braccia.
Rimasi immobile. Trattenni il fiato e mi sentii piccolo, di soli dodici anni, molto
piccolo, molto infinitesimale e pieno di paura. Il vento sibilava.
Non riuscivo a vedere Margaret. Vedevo solo la spiaggia e il bagnino che emergeva
dalla barca con in mano un sacco grigio non molto pesante, e la sua faccia quasi altrettanto
grigia, e segnata.
– Resta qui, Margaret – dissi. Non so perché lo dissi.
– Ma perché?
– Resta qui e basta.
Camminai lentamente sulla sabbia fino al bagnino. Lui mi guardò.
– Che cos’è? – chiesi.
Il bagnino continuò a fissarmi, a lungo, senza riuscire a parlare. Posò a terra il
sacco grigio, e lacqua frusciò attorno al sacco, lo bagnò, si ritrasse.
– Che cos’è? – insistetti.
– È morta – disse piano il bagnino.
Aspettai.
– Strano – mormorò. – La cosa più strana che mi sia mai capitata. È
morta. Da molto tempo.
Ripetei le sue parole.
Annuì. – Dieci anni, direi. Non è affogato nessun bambino qui, quest’anno. Dal 1933 ne
sono affogati dodici, ma li abbiamo recuperati tutti dopo poche ore. Tutti tranne uno, a
quanto ricordo. Il cadavere, qui, dev’essere stato in acqua per dieci anni. Non è…
piacevole.
Fissai il sacco grigio. – Lo apra – dissi. Non so perché lo dissi. Il vento era più
forte.
Lui armeggiò attorno al sacco. – So che è una bambina solo perché porta ancora un
medaglione. Non resta molto altro per capirlo.
– Svelto, lo apra! – gridai.
– Preferirei di no – disse lui. Poi, forse, vide la faccia che dovevo avere.
– Era così piccola…
Aprì il sacco solo in parte. Bastò.
La spiaggia era deserta. C’erano solo il cielo e il vento e l’acqua e l’autunno
che arrivava solitario. Abbassai lo sguardo su di lei.
Ripetei qualcosa, più volte. Un nome. Il bagnino mi guardò. – Dove l’ha trovata? –
chiesi.
– Sulla spiaggia, da quelle parti, nell’acqua bassa. È passato molto tempo
per lei, vero?
Scossi la testa.
– Sì. Oh Dio, sì.
Pensai: la gente cresce. Io sono cresciuto. Ma lei non è cambiata. È ancora
piccola. Ancora giovane. La morte non permette di crescere o di cambiare. Ha ancora i
capelli doro. Sarà giovane per sempre ed io l’amerò per sempre, oh Dio, l’amerò per
sempre.
Il bagnino legò di nuovo il sacco.
Pochi minuti dopo camminai da solo sulla spiaggia. Mi fermai e abbassai lo sguardo su
qualcosa. Qui era dove il bagnino laveva trovata, mi dissi.
Qui, al bordo dell’acqua, c’era un castello di sabbia costruito a metà.
Proprio come li costruivamo io e Tally. Metà lei, metà io.
Lo guardai. M’inginocchiai vicino al castello e vidi le piccole orme che venivano dal
lago e tornavano di nuovo al lago e là sparivano.
Poi… capii.
– Ti aiuto a finirlo – dissi.
E lo feci. Costruii il resto del castello molto lentamente, poi mi alzai, mi voltai e
mi allontanai, in modo da non vederlo sparire nelle onde, come spariscono tutte le cose.
da R. Bradbury, 34 racconti, Oscar Mondadori, Milano 1984