L’assessore di collegio Kovalev si svegliò abbastanza per tempo e fece colle labbra
“brrr…!”, il che faceva sempre al suo risveglio, sebbene egli stesso non avrebbe saputo
spiegare perché. Si stiracchiò, chiese un piccolo specchio che era sulla tavola. Voleva dare
un’occhiata a un foruncolo che gli era spuntato sul naso la sera innanzi; ma con somma sua
meraviglia vide che, invece del naso, ci aveva una superficie perfettamente liscia!
Spaventato, Kovalev chiese dell’acqua e si strofinò gli occhi con un asciugamano bagnato:
non c’era che dire, di naso neppur l’ombra! Si palpò ben bene per esser sicuro di non
dormire; non dormiva, no! L’assessore di collegio Kovalev saltò dal letto, si riscosse, e
sempre niente naso!... Egli chiese i suoi vestiti e si precipitò difilato dal capo di
polizia.
Kovalev non trova il capo della polizia, che è appena uscito dal suo ufficio, e
allora…
Decise di rivolgersi direttamente all’ufficio pubblicità d’un giornale e d’inserire
tempestivamente un annuncio con opportuna descrizione di tutte le caratteristiche del naso,
di maniera che chiunque l’avesse scontrato potesse riportarglielo o perlomeno indicargli il
suo alloggio.
E così, presa questa decisione, ordinò al cocchiere d’andare all’ufficio di pubblicità
di un giornale e per tutta la strada non fece che appioppargli pugni sulla schiena
aggiungendo: – Più in fretta, cialtrone! Presto, furfante! –. Eh, signore! – diceva il
cocchiere scuotendo la testa e sferzando colle redini il suo cavallo, dal pelo lungo come
quello dei cani spagnoli. La vettura si fermò, e Kovalev irruppe ansante in una saletta di
ricevimento, dove un impiegato canuto, in un vecchio frac e cogli occhiali, sedeva a un
tavolo e, colla penna fra i denti, contava certe monete di rame che gli avevano portato.
– Chi riceve gli annunci qui? – domandò Kovalev. – Ah, buongiorno!
– I miei rispetti – disse l’impiegato canuto levando un istante gli occhi e
riabbassandoli tosto sui mucchi di denaro che aveva davanti.
– Desidero inserire…
– Permettete, vi prego di aspettare un momento – fece l’impiegato, inscrivendo con una
mano una cifra sulla carta e spostando con le dita della sinistra due grani del
pallottoliere.
– Egregio signore, permettetemi di pregarvi… è cosa urgente – diss’egli alla fine con
impazienza.
– Subito, subito! Due rubli e quarantatré copechi!... Un minuto!... Un rublo e
sessantaquattro copechi! – diceva il tipo canuto, buttando in faccia alle vecchie e ai
portieri i loro annunci. – Che cosa desiderate? – chiese finalmente rivolgendosi a Kovalev.
– Vi prego... – disse Kovalev. – È successa una bricconata, una furfanteria, finora
non mi riesce assolutamente di capire. Vi prego soltanto d’inserire che colui il quale mi
riporterà quel mascalzone, riceverà acconciata ricompensa.
– Scusate un po’, qual è il vostro nome?
– Eh, no, che c’entra il nome? Non posso dirlo. Io ho molti conoscenti. La Cehtyreva,
consiglieressa di Stato, Pelagia Grigorjevna Podtocina, ufficialessa superiore… Se, Dio
guardi, lo risapessero! Potete mettere semplicemente un assessore di collegio o, meglio
ancora: un avente grado di maggiore.
– E che vi è scappato, un domestico?
– Macché domestico! Allora non sarebbe una bricconata tanto, grande! M’è scappato… il
naso…
– Hm, che nome strano! E v’ha sottratta una forte somma, questo signor Nasi?
– Naso, ossia… avete capito male! Naso, il mio proprio naso è sparito e non si sa
dove. Il diavolo stesso ha voluto farsi beffe di me!
– Ma in che maniera è sparito? C’è qualcosa che non capisco bene!
– E appunto non ve lo so dire, in che maniera; ma il fatto è che in questo momento
esso scarrozza per la città e si spaccia per consigliere di stato. Perciò vi prego
d’inserire che chiunque potrà metterci la mano sopra, me lo riporti senza indugio entro il
più breve tempo possibile. Giudicate infatti voi stesso, come potrei stare senza una parte
del corpo, così appariscente? Qui non si tratta di un qualunque dito mignolo del piede, che,
infilata una scarpa, nessuno s’accorge se c’è o non c’è. Io frequento il giovedì la casa
della Cehtyreva, consiglieressa di Stato, la Podtocina, Pelagia Grigorjevna, vedova di un
ufficiale superiore, e questa ci ha una figlia molto graziosa, e inoltre piacevoli
conoscenze; fatevi ora un’idea di quale sia la mia posizione… Non potrò più presentarmi da
loro.
L’impiegato rifletteva, come rivelavano le sue labbra fortemente serrate.
– No, io non posso inserire un tale annuncio sul giornale – disse finalmente dopo
lungo silenzio.
– Come? Perché?
– Perché il giornale potrebbe perdere il suo buon nome.
Rientrò a casa sentendosi appena le gambe sotto. Era già il crepuscolo. Triste e
oltremodo sudicio gli parve l’appartamento dopo tante infruttuose ricerche. Entrando
nell’anticamera scorse sullo sporco divano di pelle il proprio domestico Ivan, il quale,
giacendo sul dorso, sputava contro il soffitto e riusciva a colpire con notevole successo
sempre il medesimo punto. Una simile indifferenza da parte di quel tipo lo indignò; gli
dette col cappello una botta sulla fronte aggiungendo: – Tu, porco, non fai che occuparti di
sciocchezze!
Ivan balzò di colpo dal suo posto e si precipitò in gran fretta a sbarazzarlo del
cappotto.
Entrato in camera sua, il maggiore, stanco e triste, si buttò in una poltrona e disse
infine, dopo alquanti sospiri: – Mio Dio! Mio Dio! Perché una tale disgrazia? Fossi io senza
un braccio o senza una gamba sarebbe, pure, meglio; ma, senza naso, un uomo lo sa il diavolo
che cosa rappresenta: non è né cristiano né animale, né carne né pesce, prendilo, alle
corte, e buttalo dalla finestra! E almeno l’avessi perduto in guerra o in duello, o ne fossi
io stesso causa; ma no, è sparito senza saper né come né quando, è sparito così, in un
soffio!... Però no, non può essere – aggiunse dopo breve riflessione – è inverosimile che un
naso sparisca, è assolutamente inverosimile. O sogno, o son vittima d’allucinazione; forse
chi sa come, per errore, ho bevuto per acqua l’acquavite che mi passo in faccia dopo la
barba. Quella bestia d’Ivan certo non l’ha portata via e così l’ho inghiottita. – Per
convincersi di non essere effettivamente briaco, il maggiore si pizzicò tanto forte che fu
costretto a gridare dal dolore.
Il quale dolore lo convinse del tutto che era sveglio e desto. Egli s’accostò pian
piano allo specchio e dapprima socchiuse gli occhi colla segreta speranza che il naso, chi
sa, ricomparisse al posto suo: ma quasi nel medesimo punto dette un salto indietro
esclamando: – Obbrobrioso spettacolo!
La faccenda era veramente incomprensibile. Si fosse perduto un bottone, un cucchiaio
d’argento, un orologio, o altro di simile, ma perdere… perdere che cosa? E per di più nel
proprio appartamento!... Il maggiore Kovalev, tutto ben considerato, finì col supporre che
la colpa del fatto doveva, secondo ogni apparenza, essere attribuita a nessun altro che
all’ufficialessa superiore Podtocina, la quale desiderava fargli sposare la propria
figliuola. Egli stesso corteggiava volentieri la ragazza, ma evitava un impegno definitivo.
Quando poi l’ufficialessa gli aveva detto a chiare note che intendeva dargliela in sposa,
egli, lasciate da parte le finezze, aveva dichiarato che lui era tuttavia giovane, che gli
conveniva prestar servizio cinque anni ancora, e così ne avrebbe avuti quarantadue giusti.
Epperò l’ufficialessa, per vendetta, aveva deciso la sua perdita e s’era assicurata a
quest’uopo i servigi di qualche fattucchiera, giacché non si poteva neppur lontanamente
supporre che il naso fosse stato tagliato: nessuno era entrato in camera sua; quanto al
barbiere Ivan Jakovievic, questi l’aveva raso già il mercoledì, e nel prosieguo di tale
giorno, e del resto per tutta la durata di giovedì stesso, il naso era restato al suo posto;
ciò egli ricordava e sapeva con precisione: oltrediché avrebbe dovuto sentir male, e
certamente la ferita non si sarebbe chiusa tanto presto, né sarebbe diventato, il posto,
liscio come una galletta. Andava architettando piani d’azione: chiamare in giudizio per via
legale l’ufficialessa, ovvero comparire egli stesso in casa di lei, e costringerla a
confessare. Le sue riflessioni furono interrotte dalla luce filtrante attraverso le fessure
degli usci, il che indicava che Ivan nell’anticamera aveva già acceso il candeliere. Presto
infatti comparve Ivan in persona, recandolo davanti a sé e illuminando vivamente tutta la
stanza. Il primo moto di Kovalev fu dar di piglio al fazzoletto e coprirsi il posto dove
ieri ancora stava il suo naso, onde lo stupido individuo non restasse a bocca aperta innanzi
a una tale stranezza del suo padrone.
Non era ancora rientrato Ivan nel suo covo, che s’udì nel vestibolo una voce
sconosciuta, la quale diceva: – Abita qui l’assessore al collegio Kovalev?
– Entrate; il maggiore Kovalev è qui – disse Kovalev saltando subito in piedi e
aprendo la porta.
Entrò una guardia di bell’aspetto, con favoriti non troppo chiari né troppo scuri, con
guance abbastanza piene.
– Voi avete perduto il vostro naso!
– Appunto.
– È stato ritrovato.
– Che dite? – gridò il maggiore Kovalev. La gioia gli toglieva l’uso della parola.
Egli contemplava avidamente la guardia davanti a lui, colle sue guance e labbra piene che la
luce vacillante della candela illuminava di bagliori vivi. – In che modo?
– Per uno strano caso. È stato preso mentre si disponeva a fuggire. Era già salito
sulla diligenza di Riga. Da tempo si era procurato un passaporto falso a nome d’un
funzionario. E il curioso è che io stesso l’ho creduto sulle prime un signore. Ma per
fortuna avevo con me gli occhiali e ho potuto riconoscere che era un naso. Giacché io sono
miope e, voi che mi state davanti, vedo solamente che avete un viso, ma né naso né barba,
non distinguo nulla di più. Mia suocera, ossia la madre di mia moglie, neppure lei vede
nulla.
Kovalev era fuori di sé. – Dov’è dunque? Dov’è? Ci corro subito.
– Non vi disturbate. Sapendo che ne avevate bisogno ve l’ho portato io stesso.
Kovalev ha ritrovato il suo naso ma la sua felicità dura poco, perché quello non vuol
saperne di tornare al proprio posto, fra le guance del suo proprietario. Intanto, in città,
si diffonde la notizia di questo fatto straordinario: c’è chi giura di aver visto il naso in
una vetrina, o di averlo visto passeggiare tra la folla…
Fatti assurdi avvengono in questo mondo, da cui talvolta ogni verosimiglianza è
bandita. A un tratto quello stesso naso che scarrozzava col grado di consigliere di Stato e
aveva sollevato tanto rumore nella città, ricomparve, come se niente fosse, al suo proprio
posto, ossia appunto fra le due guance del maggiore Kovalev. Ciò avvenne il 7 di aprile.
Svegliatosi e gettata per caso un’occhiata allo specchio, questi vede… il suo naso! Lo tocca
colla mano: il suo naso, non c’è che dire!
– Oh! – disse Kovalev, e dalla gioia a momenti s’abbandonava attraverso la stanza, e
così a piedi nudi, a una danza sfrenata; ma l’ingresso di Ivan glielo impedì. Il maggiore
chiese subito da lavarsi e, lavandosi, guardò ancora una volta allo specchio: il naso!
Asciugandosi colla salvietta guardò daccapo: il naso! – Di’ un po’, Ivan, mi pare di aver
sul naso una specie di foruncolo – fece egli, e pensava frattanto: “Ora sarebbe bella che
Ivan dicesse? Nonché foruncolo, io non vedo neppure il naso!’”.
Invece Ivan disse: – Niente, nessun foruncolo: il naso sta benissimo!