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TRE BAMBINE DI TAIMANI


Questa mattina preparo del tè in cucina per la mia amica Farida, scesa dal
sesto piano per parlarmi. Pensa che io mi stia lasciando andare e che dovrei
reagire. La febbre è scomparsa, i miei polmoni stanno meglio; da qualche
tempo Farida mi sprona di continuo per farmi uscire da questa inerzia depressiva.
Ha sempre una buona ragione per scuotermi e tirarmi su di morale.
Lei a volte esce, mentre io mi trascino come un fantasma tra le quattro
mura, tra il peso della malattia di mamma e la tristezza di Soraya. Apriamo la finestra della cucina per far entrare un po’ d’aria; come faccio sempre, attraverso la grata osservo la moschea.
Le moschee sono diventate i feudi dei talebani; qui viene insegnata la loro versione del Corano. Vedo il mullah al centro del cortile, circondato da bambini che recitano instancabilmente obbedendo ai suoi ordini. Il mullah ha un bastone in mano, forse per picchiare quelli che sbagliano o che si mostrano esitanti.
Farida e io ne osserviamo i movimenti:
– Forse gli sta facendo ripetere delle cose spaventose! Guarda quel povero
bambino, lo sta picchiando sulle mani…
È in questo preciso istante, davanti a questa finestra e a questo spettacolo, che il mio cervello di studentessa si risveglia di colpo. Tanto per cominciare,
naturalmente in quella scuola coranica ci sono soltanto maschi!
E altrettanto naturalmente quei bambini possono imparare una cosa sola da un mullah: i testi del Corano. L’educazione religiosa è importante; ha sempre fatto parte delle mie lezioni, ma a me hanno insegnato anche molte altre materie: storia, geografia, letteratura persiana, matematica, scienze… Adesso chi insegnerà tutte queste cose ai bambini? Le scuole maschili esistono ancora; non sono obbligatorie, ma alcuni genitori devono pensare che un minimo di educazione è meglio che niente.
Tuttavia quale può mai essere il livello di questa educazione? La propaganda
dei talebani vi si è insinuata con una tale rapidità! Per i primi tre anni i bambini devono indossare un cappellino e i tradizionali pantaloni ampi stretti alla caviglia. Dopo gli otto o i nove anni di età devono invece obbligatoriamente sfoggiare il turbante bianco, anche se troppo grande per loro.
Dopo tutto, rispetto a questi bambini, io sono stata molto fortunata: la mia carriera scolastica si è interrotta solo con l’arrivo dei tabelani. Mi hanno
iscritto alle elementari quando avevo cinque anni, nel periodo dell’occupazione sovietica. Dai nove ai dodici anni, la guerra civile tra i mujahidin e il regime comunista non ha seriamente ostacolato i miei studi. Sotto il regime di Stato islamico istituito dalla Resistenza, ho portato a termine gli studi superiori, sostenuto l’esame finale e affrontato il concorso di ammissione alla facoltà di giornalismo.
Ora ho diciotto anni e, da due anni a questa parte, vivo segregata tra queste mura senza fare nulla, mentre potrei rendermi utile affiancando coloro che trasmettono il sapere, anche se il mio è ancora piuttosto relativo.
Farida la pensa come me; forse ha maturato queste idee anche prima
di me.
– Ascolta, Latifa: per me e per te ormai è finita, non riusciremo a continuare
gli studi, ma potremmo fare qualcosa per quei bambini! Per esempio, che abbiano almeno le idee chiare quando ascoltano quel mullah!
– Una scuola clandestina? Come la professoressa Fawzia?
Una delle nostre ex professoresse è stata colta in flagrante dai talebani nel bel mezzo di una lezione. Prima hanno picchiato i bambini, poi se la sono presa con lei. L’hanno buttata giù per le scale con una tale violenza che si è rotta una gamba. Poi l’hanno trascinata per i capelli e l’hanno sbattuta in prigione. Dopo di che l’hanno obbligata a firmare una dichiarazione in cui
assicura che non ricomincerà più, che rispetterà la legge dei talebani. L’hanno minacciata di lapidare tutta la sua famiglia in pubblico se non avesse
riconosciuto il proprio “errore”. Quella donna ha tutta la mia ammirazione;
ci ha insegnato molte cose a scuola! Mettendo in piedi la sua scuola clandestina, la professoressa Fawzia era ben consapevole di quello che
faceva e dei rischi a cui andava incontro. I bambini non entravano mai alla stessa ora per seguire le lezioni e non uscivano mai tutti insieme.
Lasciavano i libri da lei; nulla di illegale, secondo i decreti dei talebani, traspariva all’esterno. La professoressa Fawzia è stata senza dubbio denunciata da un vicino o da un mendicante. Questi ultimi sono a caccia di tutte le notizie che possano valere, a loro avviso, qualche favore da parte dei dominatori di Kabul. Eppure, la professoressa Fawzia era così prudente! All’inizio di ogni lezione diceva ai bambini:
– Ognuno di voi tenga ben in vista sul tavolo il testo del Corano. Se qualcuno entra nella stanza, gli diremo che stiamo studiando il Corano, e che non impariamo altro che questo! La moschea e quei bambini che ripetono gli ordini del mullah dondolando avanti e indietro, terrorizzati o ipnotizzati dal
loro istitutore: ecco la scintilla che mi porta finalmente a reagire.
Talvolta gli avvenimenti accadono così, è destino.
Farida mi propone di sostituire la professoressa Fawzia e di portare avanti ciò che lei aveva cominciato. Sarebbe una piccola vendetta per lei sapere che qualcuno ha raccolto il testimone. Io e Farida discutiamo dunque con fermezza, davanti a questa finestra, della realizzazione della nostra scuola secondo i principi di colei che ci ha preceduti.
– Bisogna che ci dia un programma delle lezioni, che ci dica fin dove è arrivata.
– Dobbiamo accogliere gli allievi soltanto in questo settore del quartiere, scegliere persone che conosciamo bene per poterci fidare della loro discrezione.
– Bisogna chiedere aiuto ad altre nostre amiche, come Maryam. Sono sicura che non aspetta altro.
– Ognuna di noi farà lezione nel suo appartamento. La dispersione è un’ulteriore garanzia di sicurezza. Finalmente ho ritrovato uno scopo nella vita! Io e Farida ci occupiamo di una decina di bambini. Maryam ne avrà in media cinque, a seconda dei giorni. I nostri allievi hanno tra i sette e i quattordici anni e sono misti, maschi e femmine. Naturalmente anche noi corriamo dei rischi, ma tutto sommato sono abbastanza limitati: gli allievi non dovranno fare molta strada; alcuni dovranno spostarsi solo all’interno del palazzo, che comprende trentasei appartamenti, o nell’immediato vicinato. Che debbano percorrere solo un breve tratto di strada è essenziale per la loro sicurezza.
Soraya ha promesso di correggere, la sera, i compiti degli allievi. E Daoud
si dà da fare per procurarci il materiale di base indispensabile, come matite e quaderni. Ogni famiglia ci dà una piccola somma affinché Daoud possa comprare la cancelleria; l’unico problema è rappresentato dai libri. Se ne trovano ancora, ma sono molto cari: dodicimila afghani per un semplice libro di testo! Data l’inflazione3 che dilaga nel nostro Paese, è davvero una cifra esorbitante. I genitori degli allievi acquistano quindi direttamente un manuale per bambini, a seconda delle loro possibilità.
Maryam impartisce lezioni di matematica, mentre io e Farida ci occupiamo
della lettura, della storia e dei dettati. Un’altra amica ci aiuta esclusivamente
con le lezioni di inglese per gli adolescenti.
Al termine delle lezioni del mattino osservo attentamente la strada dalla finestra. Se scorgo qualcuno che non conosco o che mi sembra sospetto, faccio attendere i bambini prima di uscire. Spesso si fermano anche a mangiare da me. Poi faccio uscire per primi i ragazzi più grandi. Dopo una nuova ispezione, le ragazze se ne vanno insieme; il fratello di una di loro le aspetta e si incammina nel momento in cui le vede arrivare. Stranamente non ho paura. Io e le mie amiche ci occupiamo di questo progetto con grande serenità.
La trafila è assolutamente sicura; conosciamo i genitori, gli allievi sono motivati e consapevoli di quello che fanno in questa scuola improvvisata,
del segreto che devono mantenere e dell’importanza che queste lezioni ricoprono per loro nel vuoto intellettuale creato dal regime talebano. Quando
escono dall’appartamento non portano nulla con sé, quaderni, libri, nemmeno matite. Tengo tutto io nella mia camera. E vengono in classe allo stesso modo, a mani vuote, come se facessero una passeggiata da un palazzo
all’altro, mai tutti insieme. Comincio a lavorare tra le nove e le dieci del mattino, a seconda dell’ora in cui arrivano i primi allievi, e le lezioni terminano a mezzogiorno. L’aula è la mia stanza. Lezioni di religione, storia e geografia, letteratura persiana e, due volte alla settimana, scrittura e dettato.
Ho cinque allieve: Ramika ha quattordici anni ed è l’unica che porta il chadri; Kerechma e Tabasom sono due gemelle di sette anni; Malika ha sei anni e Zakia cinque. I tre maschietti sono più giovani: Chaib ha sette anni, Chekeb e Fawad circa cinque.
Imitando le maestre della mia infanzia, comincio sempre le lezioni allo stesso modo: – Avete fatto i compiti? Chi non ha fatto il compito si metta in disparte! Vedremo dopo. – Poi: – Oggi parleremo dell’importanza dell’acqua per la vita umana e per la vita sulla Terra. A che cosa serve l’acqua?

da Latifa, Viso negato, avere vent’anni a Kabul: la mia vita rubata dai Talebani, Sonzogno, Milano 2001
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