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Billy Elliott

Saltavo così in alto che riuscivo a vedere fuori dalla finestra, fin sopra il capannone dove tengono gli attrezzi sportivi. La miss continuava a ripetermi: «Non così in alto, Billy. Controllo! Non sei concentrato!». Ero concentrato. Concentrato a cercare di saltare più in alto possibile. Mi faceva sentire così bene, volare in su, sopra le teste di quelle ragazzine. Sembravano batuffolini di cotone, tutte lì a svolazzare all’altezza delle mie ginocchia.
Avevo imparato tutti i movimenti, adesso: piroette e salti e port de bras e così via. La miss diceva che promettevo bene. Passava metà della lezione a star dietro a me, e non dava retta alle ragazze. Loro continuavano a lamentarsi.
«Possiamo provare anche noi, miss? Quand’è che tocca a noi, miss? Non è giusto, miss, solo perché lui è un maschio…».
«Taci un po’, Debbie, non vedi che ho da fare?»
Io ormai ci avevo preso gusto. Passavo tutta la settimana ad aspettare la lezione del sabato. E una volta che era cominciata potevo andare avanti per ore. Era vera quella cosa che aveva detto Debbie della forza.
Ballare poteva sembrarti facile, ma non lo era. Era duro. Mi ero così irrobustito che avevo molta resistenza, ora, nella marcia e nella corsa e in tutto il resto. Potevo continuare per un mucchio di tempo senza stancarmi mai.
Devo essere diventato matto, mi dicevo.
Già, era l’unica spiegazione. Chi volevo prendere in giro? Michael continuava a ripetermelo. «Ti scoprirà. E cosa farai a quel punto?». Lo sapevo che aveva ragione, ma io la vedevo così: se continuavo a farlo e non ci pensavo, non succedeva niente. E ho continuato a dire a me stesso, tutta la settimana: ancora solo una lezione, poi torno al pugilato.
Ma intanto mi piaceva sempre di più, e ho cominciato a migliorare sempre di più, e poi non è più successo che il papà venisse a vedermi al pugilato… Era solo che credevo di poter andare avanti così per sempre.
E naturalmente, quando poi invece è successo, non ci sono state tante domande o sospetti o cose così. Il papà è comparso proprio nel bel mezzo di una lezione di danza e basta.
«Su quella gamba, Billy. E giro… e due, e tre. Giro, e due, e tre, ruota, e due, e tre, e su, e due, e tre. E questo cosa sarebbe? Mettiamoci un po’ di grazia, Billy Elliot!».
Stavo muovendo la gamba a piccoli lenti cerchi, cercando di farli morbidi e dolci più che potevo, e quando ho alzato lo sguardo l’ho visto: il papà, ritto in piedi davanti alla porta.
Sono rimasto pietrificato. Volevo uccidermi. Ho pensato, adesso viene qui e mi uccide lui. E la miss intanto andava avanti…
«E su, e due, e tre, e giro, e due, e tre. Come una principessa, Deborah. Testa alta, e uno, e due, e tre, be’ … cosa ti succede adesso?».
L’ha detto quando si è accorta che mi ero fermato. Poi è finita la musica e lei si è voltata e ha visto il papà. Lui è diventato rosso fuoco.
«Tu, fuori di qui, subito!» ha gridato.
Vedevo la miss con la coda dell’occhio, era tutta in avanti come se avesse intenzione di mangiarselo in un boccone; e se lo sarebbe mangiato sul serio. O in ogni modo ci avrebbe provato, non era tipo da star lì con le mani in mano. Ma l’ultima cosa che volevo era dover assistere a uno scontro tra lei e il papà. Sono andato verso di lui. «La prego, miss, no…» le ho sussurrato mentre le passavo vicino. È stato così imbarazzante.
Il papà pensava che ballare fosse una cosa da femminuccia; lei pensava che fosse da femminuccia non affrontare il papà. Io ho scelto quest’ultima cosa.
Ho sentito sbattere la porta alle mie spalle. Il papà mi ha preso per un braccio e mi ha spinto in avanti.
«Ci sono un paio di cose che dovrai spiegarmi, adesso» ha detto. E siamo andati verso casa.
Per tutta la strada non ha aperto bocca. Lui fa così, ti sfinisce. Per tutta la strada fino a casa, giù per Union Street, su per High Street, lungo Macefield Road. Non una parola.
Una volta a casa mi ha fatto sedere dietro il tavolo e mi ha fissato per tutto il tempo mentre si toglieva la giacca. Poi si è seduto di fronte a me. E di nuovo zitto. Fa così, e più va avanti a non parlarti, più vuol dire che sei nei guai. Stavolta mi sono chiesto se avrebbe mai più ripreso a rivolgermi la parola.
Lo sapevo, cosa voleva da me. Voleva che chiedessi scusa. Be’, io non avrei chiesto scusa. Poteva restare lì ad aspettare anche per sempre. Era una cosa stupida. E poi, cosa avevo fatto di male?
«Balletto» ha detto alla fine.
«Balletto, sì, cosa c’è che non va?» ho detto io.
La nonna era seduta su una sedia accanto alla finestra che mangiava pasticcio di carne di maiale e ci guardava come se stesse guardando la tv. Ho rivolto lo sguardo verso di lei. Era meglio che guardare lui. Con la coda dell’occhio ho visto che il papà diventava sempre più rosso.
«Cosa c’è che non va? Senti un po’, Billy, stai cercando di prendermi in giro?»
«È una cosa più che normale» ho detto io, e l’ho guardato in faccia.
«Più che normale?». Mi sono spaventato: gli erano diventate bianche le labbra.
«Io ci andavo, a danza» ha detto la nonna.
«Visto?» ho detto io.
«Tua nonna. Le femmine, Billy. I maschi fanno… pallone, o pugilato, o lotta, cose così».
«Quali maschi fanno lotta?» ho chiesto, e l’ho fregato, perché nessuno di quelli che conosco fa lotta da queste parti.
«Lo sai cosa voglio dire».
«Non lo so cosa vuoi dire».
«Non cominciare, Billy».
«Non vedo cosa c’è di male, tutto qui».
«Lo sai benissimo cosa c’è di male».
«No, non lo so».
«Lo sai».
«No».
«Sì, lo sai».
«No, non lo so!»
«Sì che lo sai. Ma per chi mi prendi? Lo sai benissimo».
«È solo ballare. Tutto qui. Cosa c’è di male a ballare?»
Il punto è… Sì, lo sapevo cosa voleva dire. Almeno, avrei dovuto saperlo. I ragazzi non fanno danza. La danza non è il pallone, non è il pugilato e non è essere forti. Non è scendere in sciopero e saper badare a te stesso e tener duro e restare tutti uniti. Non è la miniera, non è il sindacato. Non c’entra con quello che siamo noi. Ma chissà se diventerò un minatore? Magari no. E se anche lo diventassi, che differenza farebbe? Perché non dovrei ballare? Perché nessuno l’ha mai fatto prima, ecco perché. Ma se comincio a farlo, non sarà più un problema, perché avrò cominciato io. Non è che o si è come il papà o non si è in nessun modo. Solo perché mi piace ballare, non vuol dire che non sono più io… O sì?
«Te le stai cercando, Billy».
«No, papà, no!» Era arrabbiato a vedermi così cocciuto, ma io davvero non capivo perché fosse così maledettamente scandalizzato all’idea che mi piacesse ballare.
Il papà ne aveva abbastanza. «Senti, figliolo, d’ora in poi te lo puoi scordare questo dannato balletto! E puoi scordarti anche il dannato pugilato! Mi faccio un fondo così per quei cinquanta pence. Lo sai che siamo a corto di soldi. Resterai qui a badare a tua nonna, chiaro?».
«Potevo fare la ballerina professionista» ha detto la nonna.
«E stai zitta, tu!» le ha detto il papà. Non aveva nessun diritto di parlarle così.
Sono saltato su e gli ho urlato in faccia: «Ti odio!».
Ha fatto un balzo verso di me, ma io ero già scappato.
Mi è corso dietro. «Billy!» ha gridato. Ma io ero lontano. All’improvviso le lacrime mi correvano giù per le guance e ho capito che avrebbe continuato a pensare che ero una femminuccia per il resto della sua vita. Lo sentivo che mi chiamava, ma avevo chiuso con lui, bastardo.
E in un attimo ero su per la strada e attraverso i campi e lungo il ruscello, e lontano. È la sola cosa in cui io sia mai stato bravo e lui voleva impedirmi di farla. Bastardo, bastardo, bastardo! Ho corso per miglia e miglia. Era finita, era proprio finita. L’aveva detto. Se il papà dice una cosa del genere, la mantiene. Se mi avesse pescato a girare intorno alla palestra, mi avrebbe riempito di botte.
Mi sono fermato giù alla spiaggia, lontanissimo da casa. Era un giorno di vento, le onde si frangevano immense sulla spiaggia. Ora capivo perché la nonna veniva sempre quaggiù. Sentire l’acqua che riecheggia là sulle rocce… ti libera la testa, ti calma. Ti aiuta a pensare. Mi sono messo a gettare sassi nelle onde e a guardare il mare che li inghiottiva.
Il sole stava tramontando. Ero via da ore. Alle mie spalle, sulla collina, c’era Everington. Ero nel lato ricco della città. Il lato della miss. Mi sono chiesto: come sarebbe se fossi ricco come lei, se avessi il permesso di andare a danza? Ma non era questo il punto. Ero l’unico ragazzo in classe. Borghesi od operai, era lo stesso, non faceva differenza: i ragazzi non ballano, punto e basta.
Lei non poteva farci niente.
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