Non doveva succedere. Non voleva che succedesse.
Asja vorrebbe svegliarsi e scoprire che è stato solo un incubo.
Guarda fuori dalla finestra. La neve si è trasformata in ghiaccio, scivoloso,
viscido, traditore.
Non voleva arrivare a tanto. Vorrebbe gridarlo, ma la voce rimane sepolta
nel petto.
Sono uscite da scuola, Maria indossava quello stupido cappello fatto a
mano da sua madre, di quello stupido colore. Lei gliel’ha strappato dalla
testa, così, per gioco, voleva soltanto divertirsi un po’. Poi l’ha lanciato a
Miranda che se l’è messo addosso, scimmiottando il modo di camminare
di Maria, ciondolante, con una spalla che va su e una giù, come un pendolo. Maria ha
cominciato a gridare ridammelo, ridammi il mio cappello, ma Miranda l’ha passato a Roberta e
Roberta di nuovo a lei. Asja si è messa a correre, facendo finta di volerglielo portare via,
stava solo scherzando,
Maria cercava di starle dietro ma è troppo lenta e per terra era scivoloso,
c’era uno strato di ghiaccio sottile, maledetto ghiaccio. A un certo punto, Maria l’ha
insultata, non l’aveva mai fatto, non aveva mai osato offenderla. Allora Asja ha preso il suo
stupido cappello, se l’è messo sotto i piedi e gliel’ha calpestato, tante volte. L’ha
schiacciato nella neve ghiacciata,
sporcandolo e strappandolo con la suola degli anfibi. Maria è rimasta a guardarla con i
pugni chiusi e le lacrime agli occhi, senza fare niente.
Asja le ha detto adesso riprenditi il tuo stupido cappello e ha voltato le spalle e un
attimo dopo ha sentito un colpo feroce alla schiena che le ha fatto veder le stelle. Si è
girata, l’ha presa per i capelli, hanno lottato, Maria era forte, poi non lo sa cos’è successo.
Maria era per terra, si teneva la gamba, urlava mi sono rotta la gamba, mi sono rotta la gamba.
Asja non sapeva cosa fare, non sapeva davvero cosa fare. Miranda e Roberta hanno tagliato la
corda, poi è arrivato qualcuno, hanno chiamato un’ambulanza, l’hanno portata via.
Non doveva succedere. Non voleva che succedesse.
La professoressa di italiano confabula3 con la preside. È una donna bassa,
piuttosto anziana, magra ma energica. I ragazzi l’hanno vista di rado. Solitamente se ne
sta rintanata nel suo ufficio, dal quale esce soltanto in occasioni particolari. Ricorrenze o
guai. E oggi non c’è nessuna ricorrenza.
La professoressa le cede il posto, lei si siede in cattedra, schiarendosi la
voce prima di cominciare. – La vostra compagna Maria non potrà rientrare
a scuola per alcuni giorni. Ieri si è rotta una gamba, durante il tragitto da
scuola a casa.
Tra i ragazzi scoppia un mormorio, un’onda agitata di parole sussurrate.
La preside prosegue. – Pochi minuti fa, ho parlato al telefono con sua
madre. La dinamica dell’incidente non è ancora chiara. Sembra che la vostra
compagna sia piuttosto terrorizzata e che si rifiuti di raccontare come sono andate
esattamente le cose.
Il cuore di Asja batte forte.
– Quindi, – aggiunge la donna, – se qualcuno di voi era presente, è in
qualche modo coinvolto o anche soltanto al corrente di informazioni utili,
è pregato di alzarsi in piedi.
I ragazzi si scambiano occhiate cariche di ansia. Quasi tutti sanno, ma
nessuno ha voglia di esporsi, né tanto meno di fare la spia.
Asja non ha scelta. La verità verrà comunque a galla. Meglio affrontarla
con dignità. Si alza in piedi, cercando con lo sguardo le sue complici.
– Allora? – chiede la preside.
Asja temporeggia, aspetta che si alzino anche loro.
– Prego, ti ascolto… – insiste la preside.
– Ma non… non c’ero solo io… c’erano anche loro… – balbetta Asja,
lanciando un’occhiata accusatrice contro le amiche.
– Loro chi?
Miranda esplode. – Noi non c’entriamo niente. È stata lei!
– Ma c’eravate anche voi con me, anche voi la prendevate in giro! – ribatte
Asja, cercando di mantenere il controllo della voce.
– Sei stata tu a farla cadere! – grida Roberta. – Tu le hai messo
le mani addosso!
Improvvisamente, Asja ha la sensazione che le sue amiche, la preside, i compagni, la
professoressa di italiano, siano tutti chiusi in un grande acquario. Non sente più le loro voci.
Si muovono, si agitano, aprono la bocca,
ma lei non riesce più a capire quello che dicono. Sono lontani, estranei. Poi, a un
tratto, torna l’audio.
– Mi hai sentita? – La preside si è alzata in piedi, è a un passo da lei, la sta fissando.
– Sì, io…
– Ti sto chiedendo se era la prima volta.
– La prima volta… cosa?
– La prima volta che prendevate in giro la vostra compagna, che la umiliavate…
– Veramente… no, non era la prima volta, noi…
– Parla per te! – precisa Miranda, con la voce isterica.
– Ho capito, – taglia corto la preside. – O almeno mi sembra di aver capito
quanto basta, per il momento. Siete sospese tutte e tre fino a lunedì prossimo, quando vi
presenterete nel mio ufficio accompagnate dai vostri genitori.
Roberta scoppia a piangere, Miranda continua a proclamare a gran voce
la sua innocenza, la professoressa cerca di tenere calmi gli altri che sono entrati in
fibrillazione.
Prima di andarsene, la preside si rivolge all’insegnante: – Professoressa
Carlino, passi da me in ufficio alla fine della lezione. Ritengo sia il caso di
convocare un consiglio di classe straordinario. – Quindi aggiunge, rivolta a
tutti: – Nessuno di voi può considerarsi estraneo a ciò che è accaduto. In
termini di legge, si chiama connivenza7: chi tacitamente consente allo svolgersi di
un’azione illecita, mentre dovrebbe impedirla, è comunque colpevole.
Anche se in misure diverse, siete tutti colpevoli. Pensateci.
[…]
In mensa, Roberta e Miranda si sono sedute a un altro tavolo. Cercano
di evitarla, fingendosi impegnate a mangiare la pastasciutta scotta come se
fosse una vera squisitezza. Asja si avvicina e le affronta a viso aperto.
– Pensavo di avere delle amiche.
La ignorano, sperando che se ne vada.
Ma lei non molla: – Ripeto: pensavo di avere delle amiche!
Miranda posa la forchetta, un boccone le va di traverso.
– Cos’è? Non ti piace la specialità della casa? – la apostrofa Asja.
– Hai esagerato! Ci hai messe nei guai, – interviene Roberta.
– Io vi ho messe nei guai? Ci siamo messe nei guai insieme, mi pare.
– Non è vero, eri tu a comandare, ad avere una cattiva influenza su di noi!
– Una cattiva influenza? Ma come parli? Queste non sono parole tue, te le ha messe in
bocca tua madre. – Il tono di voce si è alzato. Le stanno guardando
tutti, anche quelli delle altre classi.
– Senti, Asja…. – Adesso è Miranda a parlare. – I nostri genitori ci hanno
vietato di frequentarti. Non possiamo più essere amiche. Mi dispiace.
– E da quando dai retta a quello che dicono i tuoi genitori? – Scuote la
testa, incredula; le fissa con il disprezzo negli occhi. – Sapete cosa vi dico?!
Siete due bambine dell’asilo. Io mi fidavo di voi! Non so cosa farmene della
vostra amicizia.
Si allontana. Si siede da sola. La pasta le si incolla in bocca.
[…]
– Hai fame? – Elena spinge la porta col ginocchio, reggendo un vassoio
tra le mani.
– Ti ho portato qualcosa da mangiare…
– Un po’, – risponde Maria mentre chiude il libro che stava leggendo.
Ma poi lo sguardo le cade sulla parmigiana che fa duemila calorie e l’appetito
le passa di colpo. La mamma appoggia il vassoio sopra il comodino e si siede accanto a
lei, sul letto.
– Come stai?
– Così…
Elena decide di venire subito al punto. – Ho telefonato alla mamma della
tua compagna di classe.
Maria la fissa inorridita. – Ti avevo detto di non farlo!
– Senti Maria, dovete parlarvi. Tanto, prima o poi, dovrai affrontarla.
– Non voglio parlare con lei! – E nell’agitazione fa un movimento brusco
che le procura una fitta dolorosa alla gamba.
– Perché ti agiti? A volte i problemi sembrano montagne invalicabili e
invece basta chiarirsi per risolverli.
– Non c’è niente da chiarire con una come quella. È un’oca senza cervello
che pensa soltanto ai ragazzi e a fumare!
Elena la guarda con la bocca a forma di O: – Già fuma alla sua età?
Davanti all’ingenuità della madre, Maria alza gli occhi al cielo. – Tu neanche
immagini che razza di tipe sono quelle…
La mamma si riassetta la gonna, pensierosa. Ai suoi tempi non era così.
O forse era così anche ai suoi tempi?
– Perché non mi hai detto prima quello che ti stava succedendo? Bisognava
arrivare a tanto?
– Non volevo farvi preoccupare, e poi tu saresti andata dritta dalla preside
e loro me l’avrebbero fatta pagare.
Elena sospira. – Maria, pensaci, Asja verrà a trovarti domani, dopo la
scuola. Non hai niente da perdere, ormai. – Cambia tono di voce, si sforza
di sembrare allegra: – Non la mangi la parmigiana?
– Magari dopo.
L’acqua bollente le procura un brivido doloroso e, al tempo stesso, piacevole.
Asja si lascia scivolare nella vasca, nella carezza della schiuma.
Aspira il profumo intenso della vaniglia. Chiude gli occhi. Respira lentamente.
Gocce di sudore cominciano a imperlarle la fronte. Il caldo le scalda le ossa.
Cerca di concentrarsi sulle sensazioni e di non pensare più a niente.
La notte ha nascosto i suoi rumori. Sente soltanto lo sciabordio dell’acqua
mossa dalle mani che giocano con la schiuma.
A un tratto, tutta la stanchezza scivola via, lasciandola vuota, come un
tamburo che non suona più.
Le sembra di galleggiare in uno spazio indefinito, senza confini, in mare
aperto; acqua e cielo sono uniti in un unico abbraccio nero in cui viene voglia
di perdersi. Si lascia andare. Lentamente lascia che l’acqua le copra i capelli, le
lambisca il mento, la fronte, il naso, gli occhi… Va giù, sotto il pelo dell’acqua, fino a
toccare il fondo della vasca con la testa.
Trattiene il respiro. Adesso può sentire distintamente il battito del suo cuore, il
tamburo che segna i secondi che passano. Il suo petto è la cassa di un enorme orologio.
Quanto può stare un essere umano sott’acqua senza respirare?
Passano i secondi, batte il tamburo, il cuore pulsa sempre più forte.
Asja riemerge senza fiato, i capelli incollati al viso, la pelle che brucia.
Improvvisamente, non sa più chi è.
da S. Rondinelli, Camminare correre volare, EL, Trieste 2008