Ci succederà, un mattino, magari a Milano o Roma o in qualsiasi altra città d’Italia o
dell’Europa intera, di alzarci dal letto e schiacciando il pulsante della luce ci renderemo
conto che nessuna lampadina si accende. Andremo alla finestra per far salire le tapparelle
elettriche ma anche quelle non si muoveranno. Se ci troveremo d’estate,
ci accorgeremo che il condizionatore d’aria non funziona, che nel frigorifero sta tutto
marcendo e che dai fornelli della cucina a gas, gas non ne esce.
Ci precipiteremo fuori di casa e troveremo il bar, nel quale abbiamo sempre consumato il
nostro santo cappuccino con brioche, pieno stracolmo di gente, chi terrorizzata, chi sconvolta e
la maggior parte che si limita a imprecare:
«Per la miseria! Neanche il caffè! Come si può iniziare una giornata senza caffè?!”
«Ma che t’importa di ’sta giornata! Tanto non puoi neanche andare a lavorare, la tua
macchina è a secco e la tua fabbrica è chiusa per mancanza di materie prime. Fai conto che sia
una domenica ecologica.
Prova a respirare, sentirai che aria fresca!»
«Fresca un corno! È intasata più del solito, c’è un puzzo che schianta!»
«Beh, abbi fede, ancora una settimana, anche due… tre… magari un mese di questo blackout2
e vedrai… pian piano l’atmosfera si purga…»
«Si purga un cavolo! Ci vorranno vent’anni per ripulire l’atmosfera dalle tonnellate di
porcherie che ci abbiamo sparato…»
«Esagerato… il solito pessimista… Puoi scommetterci: fra qualche settimana respireremo che
ci sembrerà d’essere in alta montagna!»
«Sì, bravo. In un’alta montagna di rifiuti! Se non passano i camion a ritirarli ci
troveremo tutti immersi in un’enorme discarica! Peggio che a Napoli!»
«Ma che discarica? Per scaricare qualcosa bisogna possedere del cibo da consumare, verdure
da ripulire, rifiuti da gettare… e sacchetti di plastica in cui caricare la spesa!»
«Eh che menagramo!»
«Già! Chi non consuma non sporca! Infatti il più pulito è il morto di fame!»
Qualche minuto dopo nello spiazzo dove c’è il distributore, che si trovi a Parigi, a
Boston o a Chicago, ma noi preferiamo immaginarci a Milano nei pressi di Porta Romana, proprio
dove c’è il benzinaio, scorgerete una fila di macchine infinita: non c’è benzina, neanche
gasolio; aspettano l’arrivo da un momento all’altro delle autobotti, ma qualcuno avverte che la
situazione è identica in tutta la città, per non parlare degli imbocchi alle autostrade.
Lo spettacolo più impressionante è quello dei tir e dei camion isotermici bloccati in code
interminabili coi conducenti che urlano disperati: «Qui ci sono tonnellate di
merce surgelata che va in malora! E non parliamo della frutta e della verdura! Non
possiamo neanche comunicare coi nostri centri di distribuzione. I telefoni non funzionano!
Anche la televisione non s’accende ».
Una radiolina a pila dà notizia che le autostrade sono interamente sgombre, vuote
di traffico. Anche i treni sono fermi in stazione. È un blackout completo.
In compenso c’è un sacco di gente che si sta avviando verso l’ingresso dell’Autostrada
del Sole e altri innesti: molti sono in bicicletta e trascinano carrette e perfino
carrozzine per i piccoli. Dove stanno andando? Perché verso l’autostrada?
Dicono che i camionisti, bloccati, non ce la fanno ad assistere al deperimento
irrefrenabile della merce che trasportano, così la distribuiscono…gratis a tutti quelli che si
presentano. Guardate laggiù, è una folla!
Qualcun’altro dà la notizia che l’esercito sta requisendo i depositi delle raffinerie. Il
governo dichiara lo stato di emergenza, ma non trova un mezzo per poterlo comunicare ai
cittadini.
Il giorno appresso, la gente comincia a rendersi conto della dimensione che ha assunto il
disastro: imperterrite, televisioni e radio restano spente. I giornali si stampano con il
petrolio, quindi ferme anche le rotative, a parte che mancherebbero i mezzi per distribuirli. I
cellulari si stanno scaricando. Trascorrono altri tre giorni e alcune piccole radio riescono a
trasmettere ancora qualche notizia, per lo più catastrofica. Tanto per cominciare si viene a
sapere che le azioni petrolifere sono crollate a picco, tutte insieme, e hanno trascinato nel
baratro le numerose imprese che
lavoravano materiale sintetico, coibenti, generi in plastica… il tutto per 80.000 prodotti
derivati dal petrolio.
Poco più avanti, sempre a Milano, nel vicino corso Lodi, c’è un panettiere che da anni ha
impiantato un forno a legna. Entrate e assisterete a un dialogo a dir poco surreale.
Un signore chiede una pagnotta appena sfornata di mezzo chilo. Il panettiere gliela
incarta, gliela consegna e il cliente gli offre dieci euro e l’altro, scuotendo la testa, dice:
«No, niente soldi, né di carta né in moneta. Non hanno più nessun valore. Avrà saputo del
crollo totale?»
«Sta parlando delle azioni petrolifere?»
«Sì, ma anche delle banche, e delle assicurazioni…»
«Banche e assicurazioni?»
«Eh sì, ormai non c’è più niente da assicurare.»
«E con che cosa la pago allora?»
«In cambio merce!»
«Come a dire un baratto?!»
«Giusto. Lei mi dia, se crede, i suoi gemelli da polso.»
«Ma scherza?! Sono oggetti preziosi, valgono quasi mille euro e dovrei darglieli in cambio
di una pagnotta?»
«Se le sembra un baratto non conveniente mi dia qualcos’altro, la sua cravatta per esempio
o le scarpe. Che numero porta?»
«No, mi dispiace ma non ci sto, è un cambio indegno.»
«Va bene, mi paghi in lavoro. Sa tagliare la legna, impastare la farina, andare in
bicicletta?»
«In bicicletta? Perché?»
«Per consegnare i sacchetti di pane ai clienti.»
«E va bene! Tenga le scarpe! (Così dicendo si siede su uno sgabello e comincia
a slacciare le stringhe.) Le basta una scarpa sola?»
«Mi dispiace ma ho anch’io due piedi. Tutt’al più le posso dare un’altra pagnotta ma mi
deve lasciare pure la sua cravatta.»
È ormai trascorsa una settimana dal giorno del blackout. Molti stanno entrando in un
allarmante clima di tensione. Si stanno verificando preamboli da assalto ai forni. C’è però
qualcuno che non si lascia travolgere dal panico.
Ci troviamo davanti al Teatro Carcano.
«Se analizzate bene la situazione» dichiara ad alta voce un professore della Statale
intorno al quale s’è formato un vero e proprio capannello, «le cose non si mettono assolutamente
male, anzi! Passato il primo momento di sconcerto, vedrete che finalmente come in un tornado
magico ci troveremo in una situazione davvero straordinaria. Pochi di noi se ne sono resi conto,
ma qui tutti stiamo uscendo da
uno stato, quello sì, veramente disastroso. Guardatevi intorno: le macchine a centinaia
abbandonate sui bordi delle strade, nelle piazze, come relitti fulminati. Sentite il silenzio…
non c’è più un pernacchio di moto, un clacson, uno strombazzare di motori in accelerazione con
relativo sbroffo di scappamenti che t’asfissiano. Di notte riusciremo a vedere perfino le
stelle, perché quella coltre giallastra che ancora ci
sta addosso svanirà dopo qualche decina di uragani liberatori.»
«Uragani?» chiede una signora.
«Sì, l’assestamento termico, un processo attestato dalla scienza» chiarisce il professore,
«porterà un prodursi continuo di uragani con scariche elettriche strepitose.»
«Non avremo più di che preoccuparci per i polmoni dei nostri figlioli intossicati dai gas
di scarico» continua il professore. «Con la nuova situazione non ci sarà bisogno di fermare il
mondo per salvarci fuggendo, poiché questo incredibile avvenimento renderà impotente ogni
fenomeno negativo per la sopravvivenza nostra e quella del pianeta.»
Qualcuno lo applaude.
(da D. Fo, L'apocalisse rimandata ovvero Benvenuta catastrofe!, Parma, Guanda, 2008)