Il fiume, nel 1960, era largo più di cento metri in quel punto; sono
tornato a guardarlo, da allora, e ho trovato che si era ristretto un bel po’ nel corso degli
anni. Da sempre sono stati a giocare con il fiume, cercando di farlo lavorare meglio per i
mulini, e ci hanno messo tante di quelle dighe che è quasi del tutto domato. Ma a quei tempi
c’erano solo tre dighe per tutta la lunghezza del fiume attraverso il New Hampshire e mezzo
Maine. Il Castle era ancora quasi libero allora, e una primavera sì e due no usciva dagli
argini e inondava la Route 136 a Harlow o a Danvers Junction, o in tutti e due i posti.
Ora, alla fine dell’estate più secca che il Maine occidentale avesse mai visto dalla
depressione, era ancora ampio. Da dove eravamo noi, dal lato di Castle Rock, il lato di
fitta foresta dalla parte di Harlow sembrava tutto un altro paese. I pini e gli abeti rossi
dall’altra parte erano azzurrini nella foschia del calore pomeridiano. I binari
attraversavano il fiume a un’altezza di una quindicina di metri, sostenuti da una struttura
di pali di legno incatramato e di travi incrociate. L’acqua era così bassa che guardando di
sotto si poteva vedere la parte superiore dei blocchi di cemento piantati a tre metri di
profondità nel letto del fiume per sostenere il ponte.
Questo era piuttosto rozzo – i binari correvano su una lunga piattaforma di travi di
legno di dieci per quindici. Tra ogni coppia di queste travi c’era uno spazio di dieci
centimetri, attraverso il quale si poteva guardare nell’acqua per tutto l’attraversamento.
Dai due lati, non c’era più di mezzo metro tra la rotaia e il bordo del ponte. Se arrivava
un treno, forse c’era spazio a sufficienza per evitare di farsi schiacciare… ma l’aria
spostata da un merci sparato ti avrebbe spedito sicuramente a morte certa sulle rocce
affioranti alla superficie dell’acqua che correva di sotto.
Guardando il ponte, sentimmo tutti la paura che prendeva a strisciarci nello stomaco…
e mista alla paura c’era l’eccitazione di una grossa sfida, ma grossa davvero, qualcosa di
cui potevi poi vantarti per settimane una volta tornato a casa… se tornavi a casa. Quella
luce strana stava tornando negli occhi di Teddy, e pensai che non era affatto il ponte
ferroviario della GS&WM che vedeva, ma una lunga spiaggia sabbiosa, mille mezzi da sbarco
prendere terra tra le onde schiumose, gli stivali da combattimento ben piantati. Saltano
rotoli di filo spinato! Lanciano granate nelle casematte!
Snidano postazioni di mitragliere!
Eravamo accanto ai binari dove i ciottoli scivolavano via verso la riva del fiume, il
punto in cui la massicciata terminava e iniziava il ponte.
Guardando giù, potevo vedere dove la discesa cominciava a farsi ripida. I ciottoli
lasciavano il posto ai cespugli ispidi e duri e alle lastre di roccia grigia. Più giù c’era
qualche abete stentato con le radici all’aria che si facevano strada attraverso le fessure
delle lastre di roccia; sembravano guardar giù verso il loro misero riflesso nell’acqua che
scorreva.
– Gente – disse Chris a bassa voce.
– Forza – fece Teddy con quella sua maniera secca, arrogante. – Andiamo. – Già si
stava dirigendo verso il ponte, camminando sulle travi tra le rotaie scintillanti.
– Sentite – disse Vern a disagio, – qualcuno di voi sa quando dovrebbe passare il
prossimo treno?
Ci stringemmo tutti nelle spalle.
Io dissi: – C’è il ponte stradale della 136…
– Ehi, un momento, piantatela! – esclamò Teddy.
– Significherebbe camminare per cinque miglia lungo il fiume da questa parte e per
cinque miglia in qua dall’altra parte… faremmo notte! Se usiamo questo ponte possiamo
arrivare allo stesso punto in dieci minuti!
– Ma se arriva il treno, non c’è dove andare – disse Vern. Non guardava Teddy.
Guardava giù per il fiume rapido.
Teddy passò oltre il bordo e si tenne a uno dei supporti di legno tra le rotaie. Non
si era spinto troppo in là – le scarpe gli toccavano quasi il suolo – ma l’idea di fare la
stessa cosa sopra il centro del fiume con un salto di quindici metri sotto e un treno che
passa sferragliando giusto sopra la mia testa, un treno che probabilmente mi schizza un bel
po’ di scintille infuocate tra i capelli e lungo la schiena… proprio non mi faceva sentire
la Reginetta del Giorno.
– Vedete com’è facile? – disse Teddy. Si lasciò cadere sulla massicciata, si spolverò
le mani e risalì tra noi.
– Vuoi dire che ti appendi in quel modo se c’è sopra un merci da duecento carri? –
chiese Chris. – Che te ne stai appeso lì attaccato con le mani per cinque o dieci minuti?
– Ti tiri indietro? – ringhiò Teddy.
– No, sto solo chiedendo che intendi fare – disse Chris sorridendo. – Stai buono,
amico.
– Voi fate il giro se volete! – sbraitò Teddy. – Vi aspetto! Mi faccio un sonno!
– Un treno è già passato – dissi io riluttante. – E probabilmente non ce ne sono più
di uno o due al giorno che passano a Harlow. Guardate qua.
– Diedi un calcio alle erbacce che crescevano in mezzo alle traversine. Tra i binari
della linea che va da Castle Rock a Lewiston di erbacce non ce n’erano.
– Ecco. Visto? – fece Teddy trionfante.
– Ma c’è sempre la possibilità – aggiunsi.
– Già – disse Chris. Guardava soltanto me, gli occhi che gli brillavano.
– Ti sfido, Lachance.
– Chi sfida va prima.
– Okay – disse Chris. Allargò lo sguardo fino a comprendere Teddy e Vern. – C’è
qualche femminuccia qui?
– No! – urlò Teddy.
Vern si schiarì la voce, tossì, se la schiarì di nuovo, e disse – No – con una voce
esilissima. Fece un debole sorriso.
– Okay – disse Chris… ma esitammo un attimo, anche Teddy, guardando cauti su e giù per
le rotaie. Mi inginocchiai e strinsi forte con una mano un binario, senza curarmi che
scottava quasi da bruciare la pelle. Il binario era muto.
– Okay – dissi, e mentre lo dicevo qualcuno nel mio stomaco fece il salto con l’asta.
Ci avviammo lungo il ponte in fila indiana; Chris per primo, poi Teddy, poi Vern e poi
io a fare il fanalino di coda perché avevo detto io chi sfida va prima. Camminavamo sulle
traverse in mezzo ai binari, e bisognava guardare dove si mettevano i piedi, che si avesse
paura dell’altezza o meno. Un passo falso e ci si infilava nello spazio vuoto, probabilmente
con anche una caviglia rotta.
La massicciata scendeva ripida sotto di me, e ogni passo avanti sembrava sigillare più
fermamente la nostra decisione… e farla sembrare più stupidamente suicida. Mi fermai per
alzare gli occhi quando vidi le rocce lasciare il posto all’acqua, lontano, sotto di me.
Chris e Teddy erano molto avanti, quasi a metà, e Vern avanzava lentamente dietro di loro,
scrutando attentamente giù ai suoi piedi. Sembrava una vecchia signora che prova i trampoli,
la testa spinta in avanti, la schiena curva, le braccia in fuori per mantenere l’equilibrio.
Mi guardai alle spalle.