Caro diario,
                        
ho così tante cose da raccontarti che non so da che parte incominciare. È come se fosse
                        passato un secolo da ieri, e le cose sono andate proprio come in un film d’avventura. Dunque,
                        questa mattina ero già praticamente sveglia da sempre, forse da tutta la notte e ho litigato più
                        del solito con Melania perché anche lei era impaziente: aveva fretta di arrivare prima possibile
                        per prendere il banco in fondo con la sua amica. Facevamo a chi urlava più forte. Non abbiamo
                        neanche fatto colazione perché eravamo entrambe impegnate a cercare ispirazione e a prendere
                        decisioni fondamentali davanti all’armadio dei vestiti. Il telefono continuava a squillare e il
                        cuore mi batteva sempre più forte mentre passavano i minuti. Quando siamo uscite, per strada,
                        continuavo a parlare e a dire cretinate per fingere di essere disinvolta, ma forse si capiva che
                        non lo ero affatto, perché quando siamo arrivate davanti alla scuola, mia sorella mi ha
                        addirittura abbracciata due volte e sembrava commossa, prima di dileguarsi fra la folla dei suoi
                        compagni. La mamma nel frattempo mi stringeva la mano fortissimo. Effettivamente ero
                        terrorizzata. Davanti alla scuola c’era una confusione indescrivibile: bambini che urlavano e
                        che si cercavano, baci, abbracci e mamme nervose che parlavano fitto fitto tra di loro. Anch’io
                        sono corsa vicino a quelli che già conoscevo, ho rivisto certi miei ex compagni delle elementari
                        e dell’asilo e ci siamo messi tutti vicini e pallidi ad aspettare. Ad un certo punto ci hanno
                        fatto ammucchiare in cortile ed è arrivato il preside, che, con un’espressione cattivissima ha
                        urlato a tutti di stare zitti perché doveva fare l’appello. Ha incominciato a pronunciare
                        lentamente e forte i primi cognomi per ordine alfabetico della prima sezione, e ogni volta che
                        veniva chiamato qualcuno, si sentiva un bisbiglio generale, una pausa e poi il nome successivo.
                        Il mio nome non arrivava mai e io incominciavo ad avere paura di essere stata dimenticata. Ogni
                        volta che le sezioni venivano completate, tutti se ne andavano a gruppetti spauriti dietro ad
                        una insegnante sconosciuta che li avrebbe inghiottiti per sempre, almeno così mi sembrava. Man
                        mano che il preside continuava a fare l’appello, il cortile diventava sempre più silenzioso. Mi
                        tremavano le gambe, non c’era quasi più nessuno che conoscessi. Erano già stati chiamati tutti
                        quelli che mi erano più simpatici. Carlotta se n’era andata nella sezione di tedesco, Simona
                        nella B, e fino all’ultimo momento avevo sperato che almeno Serena finisse in classe con me. E
                        invece, disgrazia delle disgrazie, anche lei è finita in un’altra sezione! Quando l’ho vista
                        allontanarsi mi sono sentita veramente disperata, e la mamma ha incominciato ad accarezzarmi
                        piano la testa perché ha capito che ormai ero al limite. Non so come ho fatto a non piangere,
                        perché sentivo di avere già decilitri di lacrime prontissime a uscirmi dagli occhi, ma per
                        fortuna sono riuscita a controllarmi. Mi sarei vergognata troppo a fare la figura della bimbetta
                        piccola! Finalmente nell’ultimissima sezione, quando non avevo più speranze per il futuro, ecco
                        che ho sentito pronunciare il mio cognome! Mi sembrava impossibile: ero io! Caro diario, ti
                        annuncio ufficialmente che da questa mattina io sono un’alunna della prima media SEZIONE H! Ho
                        salutato la mamma mentre salivo le scale in mezzo a tutti quei ragazzi sconosciuti ma, a dire la
                        verità, la tristezza non era ancora finita. Mi sentivo veramente abbandonata ma poi ho cercato
                        di riprendermi anche se la prima impressione dell’aula è stata molto malinconica: muri alti e
                        scalcinati, buio, banchi vecchi e bucherellati, intagliati di firme e scritte varie. Mi sono
                        infilata nel primo banco che ho trovato. Poi ho incominciato a guardarmi intorno un po’
                        sospettosamente. Che sorpresa! In fondo a sinistra c’erano due miei compagni delle elementari,
                        Massimo e Michele. Ci siamo fatti grandi sorrisi d’incoraggiamento e in quel momento mi sembrava
                        che fossero sempre stati i più grandi amici della mia vita, anche se a dire la verità alle
                        elementari ci siamo frequentati pochissimo. Quando li ho visti mi sono sentita improvvisamente
                        meno sola e mi sono sembrati simpaticissimi. La maestra… cioè… la professoressa ha incominciato
                        a parlare, a chiederci come ci chiamiamo, che cosa abbiamo fatto quest’estate, da quali
                        elementari arriviamo e a farci l’elenco dei libri da comperare. All’inizio mi sembrava una
                        specie di orchessa, ma poi a poco a poco, mentre parlava e sorrideva, mi sembrava sempre più
                        gentile e carina e finalmente mi sono sentita più tranquilla. Nel pomeriggio poi, sono andata a
                        comperare i libri che mi serviranno durante l’anno scolastico e MI SONO SPAVENTATA! Sono dei
                        malloppi tremendi! Come farò a studiare così tanto? E soprattutto, ci riuscirò? Quando mia
                        sorella mi ha vista così sconvolta, si è «intenerita». Ho scoperto che per la prima volta avrò
                        un maschio come professore. Insegna una strana materia che si chiama tecnica e che non ho capito
                        cos’è. Non ho neanche capito come mai i professori maschi si trovano solo nelle scuole
                        superiori, soprattutto nelle Università. La mamma dice che sono le solite ingiustizie, ma me lo
                        farò spiegare un’altra volta. Ho anche scoperto che dovrò imparare a dare del lei ai professori
                        e non il «tu» come facevo con le maestre. Quante cose dovrò imparare, accidempolina!
                        
                        
da G. Maldini, La mia seconda prima, Trieste, Edizioni EL, 1999, riduzione