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Un corteggiatore respinto

– Ti dispiacerebbe mettermi al corrente del discorsetto che ti sei preparata?
– Perché no? Ormai hai sedici anni, l’età giusta per essere la mia confidente, e forse la mia esperienza ti potrà essere utile in futuro, quando ti troverai anche tu in una situazione del genere.
– Non c’è pericolo: mi diverto a vedere gli altri che flirtano ma mi sentirei scema se fossi nei loro panni – disse Jo inorridendo al solo pensiero.
– Non sarebbe così se tu volessi davvero bene a qualcuno e quel qualcuno volesse bene a te – disse Meg parlando quasi a se stessa, mentre il suo sguardo si perdeva sul viale dove tante volte al tramonto, nelle sere d’estate, aveva visto passeggiare gli innamorati.
– Credevo che mi avresti riferito il discorso che volevi fare a quell’uomo – disse Jo interrompendo bruscamente le fantasticherie della sorella.
– Oh, gli dirò semplicemente con voce calma e risoluta: “Vi ringrazio, Mr Brooke, siete molto gentile, ma io sono pienamente d’accordo con mio padre: sono troppo giovane per fidanzarmi, quindi vi prego di non parlarne più e restiamo amici come prima”.
– Ehm, va abbastanza bene, è secco e deciso quanto basta. Non credo però che sarai capace di parlare così e comunque lui non si darà per vinto, credi a me. Se si comporterà come gli innamorati respinti nei romanzi tu cederai piuttosto che ferire i suoi sentimenti.
– Ah, no! gli dirò che ho preso la mia decisione e uscirò dalla stanza con aria sostenuta. - Così dicendo Meg si alzò in piedi, pronta per fare la prova generale della sua uscita dignitosa, quando un rumore di passi nell’atrio la spedì di corsa al suo posto dove riprese il cucito come se dovesse finire al più presto il lavoro, quasi ne andasse della sua vita. Jo trattenne una risata di fronte a quel brusco cambiamento e quando qualcuno bussò alla porta andò ad aprire con una faccia accigliata, per non dire truce. – Buongiorno. Sono venuto a prendere il mio ombrello, o meglio, sono venuto a vedere come sta vostro padre oggi – disse Mr Brooke, un po’ confuso mentre fissava ora l’una ora l’altra faccia sulle quali si leggeva fin troppo scopertamente che stavano parlando di lui.
– Sta bene. È nel portaombrelli. Ve lo vado a prendere e a dirgli che siete qui – e avendo scambiato il padre con l’ombrello nella fretta di rispondere, Jo se la svignò dalla stanza per lasciare che Meg facesse il suo discorso e tirasse fuori la gran dignità che millantava. Ma nel momento stesso in cui la sorella sparì, Meg indietreggiò verso la porta bisbigliando: – La mamma avrà piacere di vedervi. Prego, sedetevi. Ora vado a chiamarla.
– No, non andate via. Vi faccio forse paura, Margaret? – e Mr Brooke aveva un’aria così avvilita che Meg pensò di avergli fatto una grossa sgarberia. Arrossì fino alla radice dei capelli perché prima d’allora lui non l’aveva mai chiamata Margaret e lei era sorpresa di scoprire quanto fosse dolce e naturale quel nome pronunciato dalle sue labbra. Ansiosa di mostrarsi cordiale e disinvolta, gli tese la mano con un gesto confidenziale dicendogli in tono grato: – Perché dovrei avere paura di voi che siete stato così gentile con papà? Non so come ringraziarvi per tutto quello che avete fatto.
– Ve lo devo dire io? – chiese Mr Brooke stringendo quella manina fra le sue e guardandola con quegli occhi scuri così pieni di amore che il cuore le palpitò in petto tanto che non sapeva più se fuggire via o restare ad ascoltare quelle parole.
– Oh, no! Ve ne prego, è meglio di no – disse cercando di ritirare la mano con aria spaventata, malgrado avesse sostenuto di non avere paura.
– Non voglio turbarvi, voglio solo sapere se mi volete un po’ di bene, Meg. Io ve ne voglio tanto! – aggiunse teneramente Brooke. Quello era il momento adatto per sciorinare il suo discorsetto freddo e ragionevole ma Meg non ne approfittò, non ne ricordava più nemmeno una parola. Abbassò la testa e con un filo di voce riprese: – Non so –. Parlò così piano che John dovette chinarsi per cogliere quella risposta piuttosto insensata. Ma a lui sembrò già abbastanza perché, sorridendo fra sé e sé piuttosto soddisfatto, le strinse con gratitudine la mano e disse con voce suadente: – Cercherete di scoprirlo? Voglio saperlo più di ogni altra cosa al mondo perché con che cuore potrei mettermi al lavoro se non so quale ricompensa mi aspetta?
– Sono troppo giovane – balbettò Meg, tutta agitata ma anche compiaciuta da quelle parole.
– Aspetterò e nel frattempo voi potreste imparare a volermi bene. Sarà una lezione così difficile da apprendere, cara?
– No, se c’è la voglia di imparare ma...
– Ve ne prego, Meg, trovatela! Io amo in segnare e questa è una materia più facile del tedesco – esclamò John impadronendosi dell’altra mano di Meg cosicché lei non poté più nascondere la faccia mentre lui si chinava a guardarla. Parlava in tono rispettoso e implorante ma, alzando timidamente gli occhi, lei colse nel suo sguardo un barlume di tenerezza ma anche un’ombra di soddisfazione e notò sulle sue labbra il sorriso compiaciuto di chi è ormai sicuro del successo. Tutto ciò la punse sul vivo: le stupide lezioni di civetteria di Annie Moffat le tornarono d’improvviso alla mente e il senso del potere, che sonnecchia anche nei cuori delle migliori fra le piccole donne, si destò ed ebbe la meglio su di lei. Fu presa da una strana eccitazione; senza sapere cos’altro fare, seguì l’impulso capriccioso del momento e, ritirando le mani dalle sue, disse in tono petulante: – No, non ne ho nessuna voglia. Per favore, andatevene via e lasciatemi in pace. Il povero Mr Brooke aveva l’aria di uno che ha appena visto franare miseramente il suo castello in aria: Meg non si era mai comportata così prima d’allora e lui rimase letteralmente di stucco.
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