Erano lì che mi aspettavano. L’ho capito appena ho svoltato l’angolo. Erano
a una certa distanza, vicino alla fermata dell’autobus. Melania, Sarah e Kim. Kim, la peggiore
di tutte. Non sapevo cosa fare. Ho tentato un passo, ma il sandalo sembrava incollato al
marciapiede. Si sono date di gomito: mi avevano visto. Anche se non distinguevo bene le cose
così da lontano, nemmeno con gli occhiali, sapevo che Kim aveva quel suo sogghigno stampato in
faccia. Mi sono immobilizzata. Mi sono voltata a sbirciare da sopra la spalla. Dovevo tornare di
corsa a scuola? Ero rimasta lì a ciondolare non si sa quanto. Magari avevano già chiuso i
cancelli. Però poteva darsi che ci fosse ancora qualche insegnante. Forse avrei potuto far finta
di avere mal di stomaco e rimediare un passaggio a casa in macchina.
– Ehi, guardate Mandy! Vuole ritornarsene a scuola di corsa. Che poppante! – ha strillato
Kim. Era come se Kim avesse degli occhiali magici che le permettevano di leggermi direttamente
nella testa. Lei naturalmente non porta neanche occhiali normali. Ragazze come lei non hanno mai
occhiali da vista o apparecchi per i denti. Non ingrassano mai, loro. Non hanno mai un taglio di
capelli sbagliato. Non indossano mai stupidi vestiti da bambina piccola. Se mi fossi messa a
correre mi avrebbero inseguito. Perciò ho continuato a camminare, anche se sentivo le gambe che
mi facevano giacomo-giacomo. Ero abbastanza vicina per vederle chiaramente, ora. Kim,
naturalmente, sogghignava. Anzi, sogghignavano tutte e tre. Ho cercato di pensare a cosa fare.
Papà mi aveva consigliato di prenderle in giro anch’io. Ma con ragazze come Kim non è possibile.
Non hanno nessun punto debole. Mamma sosteneva che dovevo semplicemente ignorarle, e che alla
fine si sarebbero stancate. Be’, non si erano ancora stancate. Intanto mi avvicinavo sempre più.
I miei sandali erano più incollati che mai. E anche io. Avevo il vestito appiccicato alla
schiena. Sotto la frangia, la fronte era madida di sudore. Ma ho cercato in tutti i modi di
darmi un contegno. Di guardare oltre. Arthur King stava aspettando l’autobus. Ho fissato lui.
Stava leggendo un libro. Ha sempre un libro in mano. Anche a me piace leggere. Era un peccato
che Arthur King fosse un ragazzo, e anche un po’ strambo, perché sennò avremmo potuto essere
amiche. Io per il momento non ho un’amica vera e propria. Un tempo c’era Melania, che però è
diventata amica di Sarah. E poi Kim aveva deciso di mettersi in combutta con loro. Melania aveva
sempre sostenuto che odiava Kim, ma adesso era diventata la sua migliore amica. Se Kim vuole che
diventi sua amica tu lo diventi, c’è poco da fare. Con lei non si discute. Sa essere molto
persuasiva. Adesso ce l’avevo proprio di fronte. Non c’era modo di fissare qualcos’altro. Dovevo
per forza guardarla. I suoi occhi luminosi, i capelli lucenti, e la sua gran bocca sogghignante
che scopriva i denti bianchi. Ho chiuso gli occhi ma ho continuato a vederla. Era come se mi
avesse attraversato gli occhiali e mi fosse entrata dritta in testa. Sempre con quel suo eterno
sorriso.
– Ehi, ha chiuso gli occhi. Andiamo a sbatterle contro – ha detto Kim. Li ho riaperti
immediatamente.
– Ha una fifa blu – ha detto Sarah.
– Sta facendo finta di essere qualcun altro – ha detto Melania. Sono scoppiate tutte a
ridere. Non potevo sopportare che Melania avesse raccontato alle altre due tutti i giochi che
facevamo insieme. Gli occhi hanno cominciato a pizzicarmi. Ho soffocato le lacrime a fatica. Ma
sapevo che non dovevo assolutamente piangere. Ignorale, ignorale, ignorale…
– Sta cercando di far finta di niente!– ha esclamato Kim trionfante. – Te l’ha detto
Mammina di ignorare queste perfide ragazzacce!
Non c’era più modo di sfuggire loro. Del resto, non avrei potuto. Kim si era piazzata
proprio di fronte a me, con Melania da una parte e Sarah dall’altra. Ero circondata.
– A proposito, dov’è Mammina? – ha domandato. – Non è da lei lasciar trotterellare a casa
da sola la piccola Mandy. Noi la stavamo aspettando, non è vero Mel, non è vero Sarah? Quando
Mamma e io eravamo insieme, loro erano sempre lì a darsi gomitate e a sussurrare e a ridacchiare
ancor di più. C’era stata una volta terribile in cui Mamma mi aveva preso per mano e tutte se ne
erano accorte, prima che la ritirassi bruscamente via. Mi hanno canzonato per settimane. Kim si
è inventata un’infinità di storie che parlavano di briglie per bambine che muovevano i primi
passi, di passeggini e di biberon. E di ciucci per povere bambine sceme. Anche adesso si davano
di gomito, e sussurravano e ridacchiavano. Non ho risposto a Kim. Ho cercato di schivarla e di
passare oltre, ma anche lei si è spostata e si è piazzata ancora proprio di fronte a me.
Vicinissima. Mi sovrastava.
– Ehi, parlo con te! Sei sorda o che cosa? Mi devo mettere a urlare? – ha detto Kim. Si è
chinata su di me, tanto vicina che i suoi capelli di seta mi hanno sfiorato la guancia. – Dov’è
Mammina? – mi ha strillato nell’orecchio. Ho sentito la sua voce rimbombarmi in testa, in ogni
più piccola circonvoluzione del cervello. Mi sono guardata disperatamente intorno. Arthur King
aveva alzato gli occhi dal suo libro e ci stava fissando. Non potevo sopportare l’idea che
assistesse a questa scena. Ho cercato disperatamente di far finta che tutto fosse assolutamente
normale.
– Mia madre è dal dentista – ho detto, con l’aria più naturale del mondo, come se io e Kim
stessimo parlando del più e del meno. Melania e Sarah hanno cominciato a ridacchiare. Kim ha
continuato a sorridere.
– Oooh, dal dentista – ha detto, anche lei col tono di chi sta chiacchierando
tranquillamente. – Sì, già, tua madre deve proprio andare dal dentista, no, Mandy? – ha detto,
ed è rimasta in attesa. Non sapevo se era il caso di risponderle. Sono rimasta anch’io in
attesa.
– Tua madre ha davvero bisogno di andare dal dentista – ha detto Kim.
– È così grigia e vecchia e rugosa che m’immagino che le stiano cadendo tutti i denti. È
andata a farsi fare una bella dentiera, eh Mandy?
Mentre diceva così sorrideva dolcemente, mettendo in mostra i suoi perfetti denti bianchi.
Mi sentivo come se me li stesse affondando nella carne. Tanti piccoli morsi crudeli.
– Adesso piantala, lascia stare mia madre – ho detto. Nelle intenzioni doveva essere una
minaccia, in realtà pareva più una preghiera. Comunque non avrebbe fatto differenza. Nessuno
riuscirebbe a far star zitta Kim, quando ci si mette. Io no di certo.
– Tua madre sembra più vecchia di mia nonna – ha detto Kim. – Anzi, sembra più vecchia
della mia bisnonna. Quanti anni aveva quando ti ha avuto, Mandy? Sessanta? Settanta? Cento?
– Sei perfida, perfida, perfida! – ho gridato, e le ho dato uno schiaffone in faccia,
allungando il braccio. In quel punto, la guancia si è fatta rosso-fuoco, mentre intorno rimaneva
pallida. Gli occhi di Kim sono diventati ancora più scuri.
– Ah sì? – ha detto muovendo un passo avanti. Sapevo di essere fritta. Ho dato una spinta
a Sarah, ho scansato Melania e mi sono buttata in strada per scappare da Kim, perché sapevo che
se mi avesse preso mi avrebbe ammazzato.
da J. Wilson, Piantatela!, Salani Editore, Milano 2007