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IL GIORNALINO DI GIAN BURRASCA

La zia Bettina
12 ottobre.
Mio caro giornalino, ho tanto bisogno di sfogarmi con te! Pare impossibile, ma è proprio vero che i ragazzi non vengono al mondo che per fare dei malanni, e sarebbe bene che non ne nascesse più nessuno, così i loro genitori sarebbero contenti! Quante cose mi son successe ieri, e ne avrei tante da confidarti, giornalino mio! Ma appunto perché ne ho avute tante, non mi è stato possibile scriverle! Ah sì, quante ne ho avute ieri!... E anche ora duro fatica a muovermi e non posso star neppure a sedere a causa di tutte quelle cose che ho detto e che mi ci hanno lasciato, con rispetto parlando, certi vesciconi alti un dito. Ma ho giurato oggi di descrivere il fatto come è andato, e benché soffra tanto a stare a sedere, voglio confidare qui tutte le mie sventure... Ah, giornalino mio, quanto soffro, quanto soffro!… E sempre per la verità e per la giustizia!... Ti dissi già l’altro giorno che le mie sorelle avevano avuto dalla mamma il permesso di dare una festa da ballo in casa nostra; e non ti so dire come erano tutte eccitate da questo pensiero. Andavano e venivano per le stanze, bisbigliavan tra loro, sempre tutte affaccendate... Non si pensava, né si parlava d’altro. Ieri l’altro, dopo colazione, si eran riunite in salotto a far la nota degli invitati, e parevan tutte al colmo della contentezza. A un tratto eccoti una grande scampanellata, e le mie sorelle sospendendo la nota degli invitati si mettono a cinguettare:
– Chi sarà a quest’ora? – E che scampanellata!... – Non può esser che un contadino!... – Certo, una persona senza educazione...
In quel momento comparisce la Caterina sulla porta, esclamando:
– Ah, signorine, che sorpresa!…
E dietro di lei, eccoti la zia Bettina!... proprio la zia Bettina in pelle e ossa, la zia Bettina che sta in campagna e che viene a trovarci due volte l’anno. Le ragazze dissero con un filo di voce:
– Uh, che bella sorpresa!
Ma diventarono livide dalla bile, e con la scusa di andare a farle preparare la camera piantarono la zia con la mamma e andarono a riunirsi nella stanza, da lavoro. Io le seguii per godermi la scena.
– Ah brutta vecchiaccia! – disse Ada con gli occhi pieni di lacrime.
– E, figuriamoci se non si tratterrà! – esclamò la Virginia con aria ironica.
– E come sarà contenta, anzi, di aver l’occasione della festa da ballo per mettersi il suo vestito di seta verde e i suoi guanti gialli di cotone e la cuffietta lilla in capo!
– Ci farà fare il viso rosso! – soggiunse la Luisa disperata. – Ah, è impossibile, ecco! Io mi vergogno di presentare una zia così ridicola! La zia Bettina è ricca straricca, ma è così antica, poveretta! così antica che pare uscita dall’arca di Noè: con la differenza che gli animali dell’arca di Noè vennero fuori tutti a coppie, e la zia Bettina, invece, era venuta sola, perché non ha mai trovato un cane di marito! Dunque le mie sorelle non volevano che la zia rimanesse alla festa da ballo. E siamo giusti: non avevano forse ragione, povere ragazze? Dopo essersi tanto affaccendate perché la festa riuscisse bene, non era un vero peccato che questa vecchia ridicola, venisse a compromettere l’esito della serata? Bisognava salvare la situazione. Bisognava che qualcuno si sacrificasse per la loro felicità. Ahi! non è forse una nobile azione per un ragazzo di cuore il sacrificio per la felicità delle sue proprie sorelle? Io avevo il rimorso della vendetta che m’ero già presa di loro con la brutta celia delle fotografie e decisi subito di compensare le vittime con una buona azione. Perciò ieri l’altro sera, dopo pranzo, presi da parte la zia Bettina e col tono serio che meritava la circostanza le dissi pigliandola alla larga:
– Cara zia, vuol fare una cosa gradita alle sue nipoti?
– Che dici?
– Le dico questo: se lei vuol proprio contente le sue nipoti, faccia il piacere di andarsene prima della festa da ballo. Capirà, lei è troppo vecchia, e poi si veste in modo troppo ridicolo per queste feste, ed è naturale che non ce la vogliono. Non dica che gliel’ho ridetto io; ma dia retta a me, torni a casa sua lunedì, e le sue nipoti gliene saranno infinitamente grate. Ora domando io: doveva la zia inquietarsi, dopo che avevo parlato con tanta franchezza? E doveva, dopo che l’avevo pregata di non dir nulla a nessuno, andare a spifferare ogni cosa a tutti, giurando e spergiurando che la mattina dopo, appena alzata, sarebbe ripartita? E la zia Bettina, infatti, è andata via ieri mattina, facendo il solenne giuramento di non metter mai più piede in casa nostra. Ma questo non è tutto. Pare che il babbo le avesse chiesto in prestito una certa somma di danaro, perché essa gli ha rinfacciato il favore che gli aveva fatto, dicendo che era una vera vergogna il dare le feste da ballo con i quattrini degli altri! Che colpa ne avevo io, di questo? Ma al solito, la stizza5 di tutti si è riversata su un povero ragazzo di nove anni! Non voglio avvilire queste pagine col raccontare quel che ho sofferto. Basti dire che iermattina, appena partita la zia Bettina, le persone che più dovrebbero volermi bene in questo mondo, mi hanno calato i calzoni e giù, frustate senza pietà… Ahi, ahi! Non posso più stare a sedere…

Il castigo e la vendetta
6 dicembre.
Scrivo dopo aver divorato tutte le mie lacrime. Proprio così; perché ho finito in questo momento di mangiare una scodella di minestra piangendovi dentro per la rabbia di doverla mangiare. Il babbo ieri ha decretato che la mia punizione per l’affare del fantoccio di Virginia e per l’altra sciocchezza dei versi contro il professor Muscolo debba consistere nel darmi da mangiare per sei giorni consecutivi sempre minestra, niente altro che minestra. E questo si capisce, perché sanno che io le minestre non le posso soffrire… Se per combinazione la minestra mi piacesse, si può esser sicuri che mi avrebbero tenuto sei giorni senza minestra… E poi dicono che son dispettosi i ragazzi!… Il fatto è che ho resistito tutto il giorno rifiutandomi di mangiare, deciso a morir di fame piuttosto che sottostare a una prepotenza così feroce. Ma purtroppo stasera non ne potevo più e… ho dovuto piegarmi alla necessità, piangendo amaramente sul mio infelice destino e sulla minestra di capellini che ho terminata in questo momento.
7 dicembre.
È l’ottava minestra che mangio in due giorni… e tutte di capellini. Io domando se anche ai tempi dell’inquisizione6 s’è mai pensato a infliggere un sì terribile supplizio a un povero innocente. Ma tutto ha un limite, e io comincio a ribellarmi a questa indegna persecuzione. Un’ora fa sono entrato in cucina nel momento in cui Caterina non c’era e ho messo una manciata di sale nella cazzeruola dove era a cuocere lo stufato. Il bello è che oggi c’è a pranzo anche l’avvocato Maralli! Meglio così: io in camera mia mangerò la mia nona minestra di capellini, ma loro non potranno mangiare il loro stufato! Oggi, dopo aver trangugiato la minestra, non ho saputo resistere alla curiosità di vedere che effetto faceva lo stufato con tutto quel sale, e sceso al pianterreno sono andato a far capolino all’uscio della stanza da desinare. È stato bene, perché così ho potuto ascoltare una parte di conversazione che m’interessava da vicino.– Dunque, – ha detto la mamma – domani l’altro bisognerà alzarsi alle cinque!
– Sicuro, – ha risposto il babbo – perché la carrozza sarà qui alle sei precise, e per andar lassù ci vogliono almeno un paio d’ore. La funzione durerà una mezz’oretta, e così prima dell’undici saremo di ritorno…
– Io alle sei precise sarò qui, – ha detto il Maralli. E voleva dir di più, ma in quel momento ha messo in bocca un pezzo di stufato e s’è messo a tossire e a sbuffare come se avesse ingoiato un mulino a vento. Tutti si son messi a dire:
– Che è? Che cos’è stato?
– Ah!... Assaggiatelo!... – ha risposto l’avvocato.
L’hanno assaggiato, e allora è stato un coro generale di tosse e starnuti, e tutti hanno incominciato a urlare:
– Caterina! Caterina!
Io non ne potevo più dal ridere, e sono scappato in camera mia. Vorrei sapere dove anderanno tutti domani l’altro alle sei di mattina, in carrozza... Credono di farla a me, ma io starò all’erta!
9 dicembre.
Sono alla diciannovesima minestra di capellini... ma continuo nelle mie vendette. Loro non sanno immaginare che cosa possa diventare di cattivo un povero ragazzo obbligato a mangiare fin cinque e sei minestre al giorno, tutte di capellini, ma se n’accorgeranno. Intanto stamani sono andato in cucina e ho messo un bel pizzicotto di pepe nel caffè... ed era un divertimento, dopo, il vedere come sputavano tutti, quanti!

da Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, Firenze, Giunti Marzocco, 1980
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