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Einstein

1
È successo a me. A me e a Gregory. Che ci crediate o no, questa è una storia vera. Ero in un canile della Protezione Animali, quando l’ho visto per la prima volta. Mi ero trovato un angolino all’ombra e stavo rimirando gli allocchi della domenica pomeriggio, genitori con i bambini che guardando quei cuccioli deliziosi passavano da un oh a una ah. A nessuno interessava un cane un po’ cresciuto. Non mi aspettavo di trovare tanto presto una nuova famiglia. Quella vecchia era andata all’estero. Mi avevano lasciato qui perché nei loro progetti per me non c’era posto. Non mi pare opportuno raccontare adesso tutta la storia della mia vita perché è di Gregory che voglio parlarvi. Ma cos’è che desidera un cane? Essendo un cane ci ho riflettuto su parecchio. Un cane vuole essere trattato bene e sapere qual è il suo posto. Vuole cibo, un tetto e una casa dove tornare. Un atteggiamento responsabile e la giusta considerazione per il suo lavoro. Un cane vuole amare ed essere amato. Proprio come le persone. Come carattere somiglio a mia madre. È stata la mamma migliore che un cane possa avere. Eravamo una nidiata di sette cuccioli. Qualsiasi cosa facessimo si metteva a ridere o a darci man forte. Naturalmente potevamo anche diventare piuttosto fastidiosi, e se proprio era necessario ci mordeva. Ma la sua rabbia svaniva nel giro di un minuto. Sono gli abbracci che mi ricordo, lo stare insieme, l’affondare nell’affetto di quella palla enorme, calda e puzzolente. Ci volevamo tutti bene. Non era stato facile dividerci. Comunque io ero lì, e Gregory pure. A quei tempi non era che un ragazzino, e mi guardava appoggiato alla rete. La cosa fu reciproca. Non appena l’avevo visto ero saltato in piedi, avvicinandomi il più possibile.
– Quello lì – aveva detto Gregory, indicandomi.
– Una buona scelta – aveva commentato il padre.
So che non è saggio generalizzare sulle persone, ma di una famiglia si può dire molto dal modo in cui i bambini si comportano in presenza dei genitori. E anche il contrario, naturalmente. L’ho notato lì al canile, quella mattina. Ragazzini che imploravano. Piagnucolavano. Morivano di noia. Genitori che li ignoravano. Famiglie senza identità. Il padre di Gregory era diverso. Rispettava l’opinione del figlio.
– Hai scelto il cane migliore.
Non sono uno a cui piace darsi delle arie ma probabilmente ero davvero il cane migliore che ci fosse lì dentro. Non che fisicamente dicessi un gran che. Sono un cane di taglia media, forse un po’ piccolo, però so farmi valere. Non sto dicendo che sono bravo a fare a botte. Sto dicendo che ho sale in zucca, e quello non ti viene stando in un canile. Come non si può generalizzare sulla gente, così non si può generalizzare sui cani. Ce ne sono di ogni tipo, colore, forma e dimensioni. Ci sono cani meschini e paurosi, ma ce ne sono che si rivelano leali, amichevoli e affidabili. Cani che sorridono e scodinzolano. Cani per giocarci. Cani ti-amo-damorire. Cani che se ne andrebbero con il primo venuto. Questi ultimi direi che vanno tenuti al guinzaglio. Per quanto mi riguarda è una cosa che odio, ma con certi cani non c’è scelta. Parola di cane.

2
Gli Oshun mi avevano accolto a braccia aperte, facendomi diventare uno della famiglia. C’erano mamma, papà e Gregory, il mio migliore amico. Giocavano con le mie orecchie e mi strofinavano la pancia. All’inizio non sapevano come chiamarmi. In parte ero un cocker, quindi avevo le orecchie lunghe. Secondo mamma somigliavano a grandi patte di seta. Mi chiamava Orecchie di Seta, un nome che non piaceva a nessun altro. Gregory mi chiamava Cosmo o Tuono.
– Che immaginazione – aveva detto papà. – Che cervello! Sei un genio!
– Il genio è lui – aveva risposto Gregory indicando me.
– Effettivamente ha l’aria di un piccolo Einstein – aveva detto mamma, ed erano andati tutti a guardarsi la foto di Einstein in camera di Gregory.
– Ha la stessa faccia seria, e guardagli i cerchi intorno agli occhi.Da allora in poi mi chiamarono Einstein.

3
Mi considero un cane serio, uno con un solo padrone. È una sola la persona da cui prendere ordini, una sola la persona con cui stare. Gregory. Quando non c’è, nella mia vita manca qualcosa. Non sono uno che mette paura, come un dobermann o un bulldog, ma se penso che qualcuno stia minacciando Gregory posso diventare feroce. Non si può infinocchiare un cane attento e guardingo. Gregory era curioso, voleva sempre indagare su tutto. Se vedeva un’ape entrare in un buco, prendeva un bastone e cercava di farla uscire. Io abbaiavo per metterlo in guardia, ma alla fine riusciva regolarmente a farsi pungere. Annusava tutto. Proprio come me. Assaggiava qualsiasi cosa, persino gli insetti. Forse anche questo l’aveva imparato da me. Mi piace cercare di azzannarli al volo. Aveva un modo tutto suo di mettersi nei pasticci. Attraversava le strade trafficate leggendo i fumetti. Certe volte non potevo fare altro che trattenere il respiro.

4
Accompagnavo Gregory a scuola ogni giorno. Odiavo il momento in cui la campana suonava: lui entrava, e io dovevo rimanere fuori. Avevo cercato di seguirlo diverse volte, ma mi avevano sempre cacciato. Allora io facevo il giro dell’isolato e tornavo. Una volta mi ero nascosto nel suo zaino ed ero andato a lezione con lui, ma a un certo punto un insegnante mi aveva visto fare capolino. Ci avevano mandato tutti e due in presidenza.

5
Ogni mattina dovevo svegliare Gregory. Parte dei miei compiti consisteva nel fare in modo che andasse a scuola. Gregory aveva il sonno pesante. Gli potevi correre sopra che continuava a dormire. Saltavo sul letto, abbaiavo e gli annusavo il collo. Mi piaceva l’odore che aveva addosso la mattina. Gregory cercava di farmi accovacciare accanto a lui ma io mi divincolavo e gli tiravo via le coperte. Se proprio non c’era modo, avevo un metodo infallibile per farlo alzare: gli leccavo le piante dei piedi. Lui tirava via le gambe e si svegliava a forza di risate.
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