Il 17 gennaio alle 18,30, il ragazzo Giampiero Binda detto Gip, di anni
otto, residente a Milano in casa dei genitori, via Settembrini 175 interno 14, accese il
televisore, si sfilò le scarpe dai piedi e si raggomitolò in una poltrona di finta pelle
verde, pronto a gustare il film in programma, della serie Avventure di Penna Bianca. Alla
sua destra, su un’altra poltrona, stava accucciato il fratello minore di Gip: Filippo Binda
detto Flip, di anni cinque. E anche lui, per stare più comodo, era sgusciato fuori dalle
scarpe e le aveva abbandonate in ordine sparso sul pavimento. Oltre all’età, anche il
campionato di calcio divideva i fratelli Binda: Gip era interista e Flip milanista, ma
questo non avrà alcuna importanza per la nostra storia. La quale comincia alle 18,38, quando
Gip provò ad un tratto uno strano formicolio, una specie di prurito nelle gambe, ma dentro,
non sulla pelle. Alle 18,39, Gip si sentì irresistibilmente attratto da una forza
sconosciuta. Decollò dalla poltrona, ondeggiò per qualche attimo nell’aria come un razzo in
partenza per il cosmo, attraversò a volo la stanza e piombò a capofitto nel televisore.
Subito fu costretto a schiacciarsi dietro una roccia per proteggersi dalle frecce indiane
che sibilavano da ogni parte. Intanto il suo sguardo, da quel nuovo punto di vista, si
fissava stupefatto sulla stanza, sulla poltrona vuota ai piedi della quale erano rimaste le
sue scarpe e la poltrona occupata da cui Flip lanciava esclamazioni di stupore: – gulp! due
gulp! Ma come hai fatto? Non si è neanche rotto il vetro. – Che ne so come ho fatto, Flip. –
Ma sei proprio dentro nel teleschermo, come Penna Bianca. Di dove sei passato? – Che ne so
di dove sono passato, Flip. – gulp! tre gulp! Però dovresti scostarti un pochettino, non mi
lasci vedere bene. – Come faccio, Flip? Con tutte queste frecce. – Sei un bel fifone. E
intanto io non vedo più niente. I buoni intanto, senza badare a Gip, stavano respingendo
l’assalto dei cattivi. La tribù di Penna Bianca, come ogni venerdì, trionfava sui suoi
nemici. La scena mutò rapidamente. Gip, anziché dietro una roccia si trovò accovacciato tra
i quattro zoccoli di un cavallo. – splash! – gridò Flip, spaventatissimo. Ma non c’era
pericolo, il cavallo era ammaestrato. – Giacché sei lì – disse allora Flip – domanda a Penna
Bianca come mai da due settimane non si sa niente di Nuvola Tonante. – Ma lui non capisce
mica l’italiano. – Be’, tu prima digli: hugh! – hugh, – disse Gip. Ma Penna Bianca aveva
altro da fare: proprio in quel momento stava sciogliendo dal palo la sua squaw dalle lunghe
trecce nere. – hugh, hugh, – fece ancora Gip, timidamente. – Ma più forte, – lo incoraggiò
Flip. – Lo vedi che hai paura? Si capisce: un interista… – Tu che sei un milanista, però, te
ne stai tranquillo in poltrona. – Ah, sì? E io spengo il televisore e ti faccio scomparire.
Così dicendo Flip saltò sul pavimento e senza perdere tempo a infilarsi le scarpe corse con
la mano tesa verso la manopola. – nooo! – urlò Gip con tutta la sua voce, più la riserva. –
Sì, che spengo. – Aiuto, mamma! – Cosa c’è? – domandò dalla cucina, dove stava stirando, la
signora Binda. – Flip vuole spegnere il televisore. – Flip, non fare il dispettoso, –
raccomandò la mamma, sempre paziente. – Ma è lui che è saltato nel video. – Gip, smettila
con gli scherzi, – disse la mamma, continuando a stirare. – E non toccare il televisore, è
un apparecchio delicato. – Altro che toccare, – precisò Flip, trionfante, – c’è andato
dentro tutto intero. Ha lasciato fuori solo le scarpe. – Vi ho detto tante volte, – ammonì
la signora Binda, – che non dovete camminare scalzi per la casa. – Anche Flip è senza scarpe
– ribatté Gip. La signora Binda decise che era giunto il momento di intervenire. Posò
sospirando il ferro da stiro e si affacciò sulla soglia del tinello. – Giiip! – Mamma! –
Cosa ti è saltato in testa, figlio mio benedetto? – Io non ci ho colpa, te lo assicuro, –
spiegò Gip singhiozzando. – Io me ne stavò là buono buono… Guarda, – e indicava la poltrona
vuota come per farla testimoniare in suo favore. – Cosa dirà il babbo? – sospirò la signora
Binda, lasciandosi cadere sulla poltrona. In quel momento rincasò la vecchia zia Emma, che
era stata a giocare al lotto. – Cosa mi tocca di vedere! – esclamò, lanciando occhiate di
rimprovero alla signora Binda, che era la sorella. – E tu permetti ai tuoi figli di fare dei
giochi così pericolosi? In due parole venne messa al corrente, ma non convinta. – Sì, sì,
venitemi pure a parlare di «forze misteriose». Dite piuttosto che quel signorino là si è
voluto mettere al riparo dagli scapaccioni di suo padre. Non gli doveva far firmare proprio
stasera la pagella, con il suo bel quattro in aritmetica? Ecco, adesso pigliatelo,
mettetegli il sale sulla coda. Ma non deve mica passarla liscia! Io telefono subito a un
elettricista. Minacciato a dovere, l’elettricista giurò che sarebbe arrivato in una decina
di minuti. Sul teleschermo, intanto, i pellerossa avevano ceduto cavallerescamente video e
audio a una gentile signora che spiegava un sistema per condire l’insalata senz’olio. – Che
barba! – brontolò Flip. E lì per lì decise di darsi alla pittura. Preparò sul tavolo un
foglio di carta bianca, le tempere, il vasetto per l’acqua, i suoi pennelli e quelli di Gip.
– Mamma, ha preso i miei pennelli, – protestò Gip, sporgendosi dall’insalatiera in cui la
sua immagine era precipitata. – Flip, lascia stare la roba di tuo fratello. Flip non diede
il minimo segno di aver sentito. Anzi, cominciò a stemperare un bellissimo blu proprio con
uno dei pennelli di Gip. Gip gridò, tempestò, minacciò. Ma per una volta non era
assolutamente in grado di raggiungere il fratello minore con i suoi scapaccioni. L’impotenza
raddoppiò il suo furore. Gridava Gip. Gridava Flip per non sentirlo. Gridavano la mamma e la
zia Emma per mettere pace. Nel bel mezzo di quel concerto fece il suo ingresso, di ritorno
dalla Banca, il ragionier Giordano Binda in persona. Il padre. Il paterfamilias. – Una bella
accoglienza, – constatò. – Oh, non preoccuparti, – disse in fretta la signora Binda; – ora
verrà l’elettricista. – Se si metterà a gridare anche lui, correranno i pompieri. E che
viene a fare? Si è di nuovo guastata la lavatrice? – Ma è per Gip. – Gip? Scommetto che ha
rotto il mio rasoio elettrico, come la settimana passata. Ma a proposito di Gip: dove si è
nascosto? – Sono qui, papà, – sospirò un filo di vocina. Il ragionier Binda, ubbidendo alle
proprie orecchie, si voltò dalla parte del televisore e rimase immobile come la statua di un
ragioniere. – Ormai è fatta, – andava dicendo la zia Emma, – non c’è che da perdonarlo. Il
prossimo trimestre il nostro Gip avrà la più bella pagella della scuola e il più bel voto in
aritmetica di tutta Milano. – La pagella? L’aritmetica? – balbettò il signor Binda,
disorientato. – Ora te la prendo, la firmi, Gip esce buono buono di là, e ci mettiamo a
tavola. E la brava signorina Emma si diresse con aria risoluta verso il cassetto nel quale
essa stessa aveva messo la pagella a frollare un tantino per renderla commestibile al
comandante in capo. – Lascia stare, lascia stare, – disse il signor Binda. – Non si tratta
di brutti voti ma di una terribile malattia. C’era proprio l’altro giorno nel giornale un
articolo di un certo Rodari che descriveva un fatto del genere, capitato ad un avvocato, ma
un avvocatone, un principe del Foro. Questo avvocato si era talmente appassionato alla
televisione che trascurava la famiglia, gli affari, la salute. Per lui non c’era che il
televisore. Gli stava addosso giorno e notte per non perdere un programma. Anzi, lo teneva
acceso anche quando non c’era niente e stava lì ore ed ore ad aspettare che comparisse una
annunciatrice. E mandava giù tutto: commedie, film, conferenze, pubblicità, intervalli,
qualsiasi cosa, proprio come Gip e Flip. Era una malattia, naturalmente. – E come finì? –
Finì che l’avvocato cascò nel televisore e ci rimase dentro tre giorni. Figuratevi che
riceveva i clienti in quella posizione e ci fece delle pessime figure, perché stava in
maniche di camicia e bretelle, non aveva neanche la cravatta. – E come fece a sortirne? Il
ragionier Binda aprì la bocca per rispondere. Poi, come colto da una ispirazione improvvisa,
corse in anticamera, uscì sul pianerottolo e bussò alla porta del dirimpettaio, l’avvocato
Prosperi (che era un altro avvocato, s’intende, non quello della malattia: in Italia, di
avvocati ce ne sono dei reggimenti). – Buona sera, ragionier Binda! Le serve qualcosa? Si
accomodi. – Senta, mi potrebbe prestare il suo televisore per una decina di minuti? –
Proprio adesso? Sta per cominciare il telegiornale e mi spiacerebbe Perché non fa una cosa?
Venga qui a vederselo in casa mia, se il suo apparecchio si è guastato. Il ragionier Binda
spiegò in due parole la situazione ed aggiunse: – Su quel giornale c’era anche la cura della
malattia. Basta mettere un secondo televisore di fronte a quello in cui giace il malato.
Egli viene subito attratto dal nuovo teleschermo, e schizza fuori da quello vecchio per
precipitarvisi. Si coglie il momento preciso in cui galleggia nell’aria, si spengono
contemporaneamente i due televisori e il gioco è fatto, l’attrazione cessa e l’ammalato
torna a terra. Naturalmente bisogna distendere un tappeto perchè non si faccia male.
L’avvocatone di cui le ho parlato è stato salvato proprio con questo sistema, ma cadendo sul
pavimento si è fatto tre bozze in testa, guaribili in dodici giorni salvo complicazioni.
L’avvocato Prosperi ascoltò con pazienza il racconto, volle dare di persona un’occhiata a
Gip che dal teleschermo gli fece un salutino imbarazzato, disse che avrebbe collaborato, ma
dopo il telegiornale: – Capirà, è la sola trasmissione che mi interessi. Purtroppo, dopo il
telegiornale i bambini dell’avvocato Prosperi fecero il diavolo a quattro e si rifiutarono
assolutamente di mollare il televisore, perché volevano vedere il Carosello pubblicitario.
Non ci fu verso di convincerli. Il povero Gip dovette sorbirsi anche Carosello dalla sua
scomodissima posizione. Riusciva a ripararsi da un dentifricio che schizzava fuori dal suo
tubetto, solo per cascare in un mastello di saponata. Nuvole di borotalco gli entravano
negli occhi e nel naso facendolo piangere e tossire. Una vernice speciale gli fece delle
strisce molto speciali sul maglione, tra gli strilli della zia Emma e le crudeli risate di
Flip. Un nuovo tipo di penna a sfera gli disegnò sotto il naso due grossi baffi. Avrebbe
voluto almeno agguantare un formaggino per cavarsi l’appetito ma non fu abbastanza svelto e
si trovo fra le dita una appiccicosa pomata contro i reumatismi. Dopo Carosello, come aveva
promesso, l’avvocato Prosperi trasportò il suo televisore in casa Binda, borbottando però: –
Proprio adesso che c’è un incontro di pugilato in Eurovisione... Capirà, è la sola
trasmissione che mi interessi. Il nuovo apparecchio fu collocato di fronte a quello in cui
Gip si stava ripulendo col fazzoletto dai segni della sua sfortunata battaglia con la
pubblicità. La zia Emma stese a terra, l’uno sopra l’altro, tutti gli scendiletti di casa,
perché Gip potesse cadere senza farsi troppi bernoccoli. E l’esperimento ebbe inizio. –
Attenzione, – disse il ragionier Binda, – quando darò il segnale voi spegnerete i
televisori. Ma mi raccomando: nello stesso preciso istante! – Poi, rivolto al suo
telefigliuolo, aggiunse: – Gip, fissa più intensamente che puoi il televisore dell’avvocato.
Gip ubbidì. Quasi immediatamente riprovò lo strano prurito col quale aveva avuto inizio la
sua avventura. Eccolo che già ondeggia come un razzo in partenza, eccolo che schizza fuori
dal teleschermo e attraversa la stanza a velocità ultrasonica. Purtroppo, affascinato da
quello spettacolo, il ragionier Binda si dimenticò di dare il segnale. Gip piombò nel
televisore dell’avvocato Prosperi e... scomparve. – Gip! Gip! Dove sei? Ci senti, Gip? Sui
due televisori, un pugilatore inglese e uno italiano si scambiavano pugni senza contarli. Ma
di Gip neanche l’ombra. – Presto, guardiamo sul secondo canale! Niente sul secondo canale
del televisore Binda, niente sul secondo canale del televisore Prosperi. – E ora che
facciamo? In quel momento trillò il campanello. Era l’elettricista, fresco come una rosa di
maggio: – Mi avete chiamato? Serve qualcosa? Si sa, gli elettricisti sono famosi per
arrivare in ritardo.