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LA MIA FAMIGLIA

Mio papà si chiama Fausto, è alto, magro e metereopatico. Sarebbe un bell’uomo, ma ha pochi capelli e cerca di mascherarlo col riporto. Ha arruolato duemila capelli che vivevano vicino all’orecchio sinistro e li ha costretti a emigrare nel deserto dell’emisfero destro, formando una sciarpa di peli che appiccica al cranio con un’overdose di brillantina. Ma col vento il riporto cede e sboccia una lunga orecchia di cocker che pende sulla spalla, o fluttua nell’aere. Di mestiere papà fa il pensionato, ma anche l’avvocato difensore di oggetti. Ha un capannone di roba usata, non butta via niente. Dice che non è giusto chiamare vecchie le cose: perché vivranno più di noi. Se ce ne sbarazziamo e le sostituiamo troppo presto, soffrono. Quindi lui aggiusta e ripara e rimonta e riavvia. È l’unico in tutta la zona che cura biciclette pedalopatiche, radio afone, lavatrici asmatiche e caffettiere impotenti. Ha una borsa di attrezzi magica. Dice che l’uomo è stato creato padrone della Terra, ma gli manca una cosa fondamentale: una borsa di attrezzi per riaggiustarsi. Ah, sospira, se ci fosse un cacciavite per togliere le idee sbagliate e un martello per fissare le buone intenzioni, una chiave inglese per stringere per sempre l’amore e una sega per tagliare col passato! Ma questa attrezzeria non ce l’hanno data e, dopo aver tentennato e scricchiolato, prima o poi ci romperemo. Mia madre, che è abbastanza religiosa, non vuole che lui parli così. Si chiama Emma e non è più bellissima, è un po’ sciupata, a voler essere precisi sembra una bustina da tè usata. Però ha delle belle gambe e fa sempre un buon odore di caffè e dado da brodo. Era commessa in un negozio che è stato sbranato da un supermercato, e ora lavora per noi. È una brava casalinga e una cuoca eccellente, le sue specialità sono le Patatine canore, la Frittata disperata e soprattutto il Polpettone Yesterday. Dentro ci ricicla tutto: la scaloppina di ieri e il prosciutto della merenda scolastica, le zampe della gallina e la coccia3 del formaggio. Il nonno dice che, quando morirà, la mamma lo inumerà in un polpettone, dentiera compresa. Mamma Emma è buona, ma è drogata. È larmotossica, cioè non può stare a lungo senza piangere, registra le soap opera per poterle guardare da sola la notte zigando come un caimano. Vede sempre le stesse puntate di una serie che si chiama Eternal Love, dove ci sono due che provano a sposarsi un centinaio di volte e ogni volta capita una sfiga peggio dell’altra e alla fine lui resta sulla sedia a rotelle e lei incinta di un altro, eppure ce la fanno e quando vanno all’altare la mamma piange a scrosci. Ha visto quella roba più volte eppure piange ancora. Non vorrei mai che finisse quello che finisce bene, ha detto una volta. Dimenticavo: mamma ha smesso di fumare da molti anni ma continua a fumare sigarette immaginarie. A tavola deve esserci sempre un portacenere perché lei possa metterci la cenere immaginaria e se le diciamo mamma smettila, non fumare a tavola, lei si scusa e fa finta di spegnerla. Detto così è strano, ma ci si abitua. Mio fratello maggiore Giacinto ha diciotto anni e mi assomiglia in cretino. È robusto, biondiccio, infestato dai brufoli e ha tatuato su una spalla Ultras forever e lo stemma della sua squadra. Sull’altra spalla voleva farsi tatuare Ti amo Marilisa, ma purtroppo Marilisa lo ha mollato a metà incisione e si è fermato a Ti amo Ma. Che può sembrare Ti amo Mamma, oppure Ti amo Ma non sono sicuro. Giacinto, che sia felice o infelice in amore, mangia come una betoniera. La sua visione ecologica del mondo è terrificante: io la definisco “polentopandismo”. Cioè lui mangerebbe polenta e panda, anche se fosse l’ultimo esemplare del mondo. È disordinato, ha una camera che sembra appena perquisita dai poliziotti, e il suo sport preferito è schiacciare i wafer e spargerli nel letto. Legge solo giornali sportivi e cataloghi di biancheria intima. Nella vita ha due grandi interessi: il calcio e il pallone. Tiene per la Nacional, una squadra un po’ sfigata che perde sempre le partite importanti, la stessa per cui tiene papà. Solo che papà ci sta male, a Giacinto gli basta far casino allo stadio e fare a botte con i tifosi della Dinamo governativa. Mio fratello minore Erminio detto Eraclito ha dodici anni ed è un genietto rompiballe simpatico terrorizzante. È il dito da videogioco più veloce del West. Ma è anche scienziato e innovatore. Ha in garage una zona tutta sua per esperimenti assurdi. Ad esempio, ha cercato di inventare un invertitore temporale. Ha preso un cucù e ha montato l’uccellino al contrario, così invece di spuntar fuori tira delle gran craniate. Dice che, se riuscisse a perfezionare la sua invenzione, potrebbe alzarsi alle nove per andare a scuola alle otto. È molto affezionato al nonno, a cui dice di essere collegato telepaticamente. Perciò, per allungargli la vita sta studiando come surgelarlo. Purtroppo gli mancano le cavie. Ha provato una volta con un topo morto, e quando la mamma lo ha trovato nel freezer è stata indecisa se svenire o metterlo nel polpettone. Eraclito è piccolo ma apocalittico. Pensa che il mondo morirà tra pochi anni, arrostito come un popcorn, e vagherà per lo spazio bianco e bucherellato. Per finire, è innamorato dell’insegnante di matematica, che sembra una cicogna con gli occhiali, ma questo è un segreto. Mio nonno Socrate è un grande personaggio. È magro con gli occhi azzurri, ha fatto tutto nella vita: dal marinaio al venditore di oasi, dal collaudatore di caschi all’uomo-formaggio nei supermercati. Vive nella nostra soffitta ed esce di casa solo una volta alla settimana per andare a fare il pieno di schifezze. Dice che siamo circondati dalle tossine e dai cibi avariati, il suo terrore è di morire avvelenato e allora si mitridatizza, cioè abitua l’organismo ai veleni ingerendone piccole quantità. Mangia yogurt scaduti, formaggi marci, acqua con la varechina, tutti i tipi di colla, e fa gli aerosol di insetticida. Poi gli vengono delle gran coliche. Anche lui pensa che il mondo finirà, ma tra dieci anni e per congelamento, vagherà nello spazio come una palla di neve. Il nonno non ha televisore né radio, ma sa tutto quello che succede. Guarda dalla finestra col cannocchiale. Riscalda la stanza col camino e legge a lume di candela. La cosa più moderna che possiede è un grammofono con dei vecchi dischi. Ogni venerdì sera balla il tango con un fantasma, doña Lupinda de Camarones Gutierrez, morta nel 1854, poi arriva il marito, don Carmelo Gutierrez, e lui e il nonno si battono a duello tutta la notte e noi non dormiamo. Comunque, anche se è sbiellato e ordina la spesa telepatica a Eraclito, ci vuole molto bene, ed è lui che mi ha insegnato la teoria del cioccolato. Poi ci sono io, Margherita Dolcevita. Ho quasi quindici anni, sono bionda con dei capelli ricci un po’ strani, diciamo che sembrano una piantagione di fusilli. Ho occhi maliardi e blu, ma sono un po’ sovrappeso. Mi piacerebbe indossare quei bei jeans stretti e bassi che spunta l’ombelico, ma la volta che ci ho provato mi sono scoppiati in autobus e ho ferito tre persone coi bottoni. A volte penso che dovrei mettermi a dieta, poi penso che se dimagrissi sarei sempre tesa per la paura di ingrassare, invece così sono tranquilla. A scuola vado abbastanza bene, e da grande vorrei fare la poetessa. La mia specialità sono le poesie brutte. Pensateci bene: il mondo è pieno di poeti così così, ma una poesia veramente brutta è rara. Sentite questa:
Mi chiamo Margherita
Peso meno in mutande che vestita.
Mica male vero?
Che altro posso dire? Ballo bene, nonostante i chiletti e un lieve difetto cardiaco. Invento anche i passi, perché mi piace ballare in mezzo agli altri ma voglio essere unica. Il mio attore preferito è Anthony Hopkins, quello del Silenzio degli innocenti. Penso che con uno così sai già che devi stare attenta.

da S. Benni, Margherita Dolcevita, Feltrinelli, Milano 2005
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