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BLOODY MARY

– Dài, provaci. Vediamo se hai il coraggio – dissi alla mia sorellastra Juli.
– Guardati allo specchio e di “Bloody Mary” tredici volte. Certo che se sei un coniglio…
– Non sono un coniglio! – protestò Juli. – E non sono nemmeno una bambinetta come te, Amanda.
Aveva ben due anni più di me, però era la mia migliore amica in assoluto,anche se ci vedevamo soltanto ogni due fine settimana.
– Non sono una bambinetta! – ribattei. – Ho nove anni, e non ho nessuna paura di dire “Bloody Mary” allo specchio. Adesso ti faccio vedere.
– Lascia perdere. – Juli mi tolse di mano lo specchio e si guardò.
– La conosci, la storia, no? – le dissi.
– Certo che la conosco – rispose lei. – L’ho sentita molto prima di te. Se ti guardi allo specchio e dici “Bloody Mary” tredici volte, ti trasformi in un mostro.
– E l’unico modo per spezzare l’incantesimo è dire “Bloody Mary” una sola volta, davanti allo specchio, ma al buio – aggiunsi.
– Va bene, sciocca. Sono pronta – disse Juli. – Preparati a vedere il mostro più spaventoso del mondo. Conta.
– Bloody Mary.
– Uno.
– Bloody Mary.
– Due.
– Bloody Mary.
– Tre.
Non credevo a quella stupida storia più di quanto ci credesse Juli. Nessuna delle mie amiche aveva mai voluto verificare se fosse vera. Juli era la prima in assoluto a provarci. Non l’avevo mai fatto nemmeno io. Una volta, guardandomi allo specchio del bagno, avevo cominciato a ripetere “Bloody Mary”, ma mi ero fermata al dodicesimo, dicendomi che era solo un’idiozia. Forse, però, mi aveva bloccato la paura.
– Bloody Mary.
– Tredici!
– Ecco fatto. Adesso, hai capito che è solo una stupida storiella da bambini, Amanda?
Prima che potessi replicare, Juli fece una smorfia truce, si chinò, si inginocchiò e cominciò a ringhiare.
– Ju… Juli, ti senti bene? – balbettai con voce strozzata.
– BUUU! – urlò lei. – Ci sei cascata, vero? – Scoppiò a ridere. – Ah! ah! Amanda crede nei mostri, Amanda crede nei mostri…
– Piantala! – le dissi. – Giochiamo con le Barbie.
Sapevo che avrebbe detto di sì. Anche se aveva undici anni, le piaceva ancora giocare con le Barbie. Poteva farlo solo con me. Se le sue compagne di scuola l’avessero vista, sarebbe morta di vergogna. Con me che ero la sua sorellastra, invece, non si vergognava affatto. Così giocammo fino a tardi. A un certo punto, papà venne a dirci: – È ora di andare a letto.
D’estate, Juli e io dormivamo nel seminterrato sia perché era molto più fresco delle camere sia perché in quel modo mio papà e la mamma di Juli non erano costretti a sentirci schiamazzare tutta la notte. L’unico difetto del seminterrato era l’assenza di prese per la corrente. Preparavamo i sacchi a pelo prima che facesse buio. Quando ci sdraiavamo, continuavamo a giocare alla luce di una torcia elettrica oppure chiacchieravamo e ci raccontavamo storie finché non ci addormentavamo. Quella sera, Juli mi raccontò alcune storie di fantasmi. Quando le pile della torcia si esaurirono, decidemmo di dormire. Non avevo affatto paura. Non dovevo dormire da molto, quando uno strano suono proveniente da molto vicino mi svegliò. Era Juli. Dormendo faceva strani versi. Sembrava profondamente a disagio.
– Juli – le dissi. – Tutto bene?
Nessuna risposta.
– Juli?
Silenzio.
Poi la sentii gemere. Pensai che facesse fatica a respirare.
– Juli? – dissi più forte.
– Non sono Juli – mi rispose una voce strana, che non assomigliava per niente a quella della mia sorellastra. Era bassa, ringhiosa, cattiva.
– Oh, dài – dissi. – Piantala. Non ci casco due volte. – Non ci fu risposta.
Solo un raspare sul mio sacco a pelo.
– Smettila, Juli! – Mi fai paura!
Juli si fermò. Poi, lentamente, ricominciò a raspare.
– Adesso basta! – dissi in tono brusco e tesi una mano verso di lei per allontanarla. Fu un errore. Invece del braccio di Juli, toccai un arto coperto da una pelliccia. Un arto gelido. Rimasi paralizzata. – Juli, per favore, piantala – sussurrai.
– Non sono Juli – ripeté la voce tremenda. Sentii qualcosa che mi si avvicinava. Soltanto la testa mi sbucava dal sacco a pelo. Lunghi oggetti appuntiti, simili ad artigli, mi passarono fra i capelli.
– Ho fame – ringhiò Juli.
– PAPÀ! – sbraitai con tutto il fiato che avevo in gola. Annaspando, saltai fuori dal sacco a pelo. Se mi salvai fu solo perché anche la cosa doveva liberarsi dal sacco a pelo. Fu molto più lenta di me. La sentii brontolare con la voce di una vecchia e raspare come una creatura mostruosa. Gridai di nuovo, più forte che potei. – PAPÀ! – Mio padre però, non si fece vedere, mentre Juli… Juli si avvicinava.
– Ho faaaame – ringhiò. – Non mangio da cent’anni! Adesso ti sbocconcello il naso e ti rosicchio le orecchie.
“Oh, non ci credo!” pensai. “Sto per essere divorata dalla mia sorellastra!
Nemmeno a Cenerentola è toccata una cosa simile”. – PAPÀ!!!
La porta in cima alla scala si aprì.
– Amanda? – era mio padre! Provai un enorme sollievo. Ero salva!
– Ragazze, adesso basta. Avete capito?
– Papà! – gridai. – Juli ha detto “Bloody Mary” tredici volte e si è trasformata in un mostro con gli artigli e le zampe pelose, e adesso vuole divorarmi!
– Certo – replicò papà in tono seccato. – Adesso dormite, altrimenti…
– Sentii sbattere la porta. Ero di nuovo sola.
“Sono fritta” pensai. “Adesso cosa faccio?” La cosa era fra me e la scala. Era talmente buio che non riuscivo a vederla, ma questo era un vantaggio, perché ogni volta che la sentivo muoversi, mi spostavo in silenzio. Purtroppo, però, non sembrava aver intenzione di spostarsi dalla scala, perciò non potevo scappare. Presto sarebbe riuscita a catturarmi. Dovevo fare qualcosa a tutti i costi.
“Lo specchio!” pensai. “Per ritrasformare il mostro in un essere umano, bisogna fargli dire ‘Bloody Mary‘ al buio, davanti a uno specchio”. Ma dov’era finito? Come potevo cercarlo con il mostro che mi seguiva per divorarmi? Avevo bisogno di distrarre Juli quel tanto che bastava per cercare a tentoni lo specchio. “Mi ricordo che è da qualche parte vicino al mio sacco a pelo” pensai.
“Il ripostiglio!” mi dissi. “Ecco come faccio!” Cercando di muovermi in silenzio, toccai la parete alla ricerca del ripostiglio. Il mostro si mosse. Mi bloccai. “Mi sta leggendo nel pensiero?” mi chiesi. Sentivo il suo respiro, basso e rauco. Ripresi a muovermi e finalmente trovai la porta del ripostiglio.
Lentamente, molto lentamente, abbassai la maniglia finché non scattò. Poi spalancai la porta e gridai più forte che potei. – Qui dentro, non mi puoi prendere! – Poi sbattei la porta, sperando che il mostro mi credesse nascosta lì. Juli si diresse verso di me, allontanandosi dai sacchi a pelo. – Non sperare di sfuggirmi chiudendoti lì dentro – ringhiò. – Ho fame… Ho tanta fame. Ho proprio voglia di una ragazzina. Non mangio da cent’anni. Adesso ti sbocconcello il naso e ti rosicchio le orecchie. Ma non preoccuparti, tesorino. Dopo un po’, probabilmente perderai i sensi e non ti accorgerai di quello che ti farò! In quel momento fui sul punto di perdere le speranze e di rassegnarmi, ma mi feci coraggio e cominciai a cercare lo specchio. Mentre la cosa si dirigeva verso il ripostiglio, mi misi a quattro zampe e girai intorno ai sacchi a pelo, tastando il pavimento alla ricerca dello specchio. “Eccolo!” pensai. “No, è il garage delle Barbie. Eppure dev’essere qui… Deve esserci!”.
Juli raggiunse il ripostiglio. La sentii raspare forte la porta, come se cercasse la maniglia. Poi sentii lo scatto. La porta si aprì. Il mostro avanzò, frusciando. Immaginai che si preparasse ad acciuffarmi per impedirmi di scappare. Poi sentii cadere scatole e oggetti vari.
– Dove sei? – disse con un sussurro da vecchia. Mi ricordava un gatto che gioca con il topo prima di mangiarlo. Dopo un attimo, gridò, indignata:
– Imbroglio! – Sbatté la porta. – Adesso vedi cosa ti faccio! Questa volta non sarò gentile. È ora di mangiare. Non metto niente sotto i denti da cent’anni. E ora ti sbocconcello il naso e ti rosicchio le orecchie.
Aspettami che arrivo, tesorino.
La sentii venire dritta verso di me. Avrei voluto correre verso la scala, ma mi trattenni. La cosa più importante era spezzare l’incantesimo. Scappando, non avrei potuto farlo. Dovevo affrontarla e farla parlare davanti allo specchio. Dopo tutto, era stata la mia sorellastra!
Non avevo ancora trovato lo specchio. I miei movimenti divennero frenetici.
“Altri accessori delle Barbie” pensai. “Non ne voglio più sapere di questi aggeggi!” In quel momento, sentii la cosa che si fermava davanti a me. Trattenni il fiato. Sentii l’aria mossa dalle sue braccia pelose sopra la mia testa. “Non mi arrenderò senza aver lottato” pensai mentre cercavo qualcosa da usare come arma. “Oh, ecco qualcosa di lungo e robusto. La colpirò con questo. Oh, no, non è possibile! Bloody Mary sta per attaccarmi e io mi difendo con un… Ken!”.
Disperata, scagliai verso Juli l’amico di Barbie, ma la mancai. Il giocattolo
colpì la parete alle spalle della mia sorellastra. Sentii Juli che si girava di
scatto. – Adesso farai silenzio, che tu lo voglia o no, tesorino – bisbigliò mentre si dirigeva verso la parete. Mentre si allontanava respirando rocamente, tirai il fiato e ripresi la ricerca.
“Eccolo!” pensai, posando le dita sullo specchio. “Ma dove lo trovo il coraggio? Be’, o adesso o mai più”.
Aprii la bocca a fatica e, con uno sforzo notevole, dissi: – Sono qui.
– Oh, aspettami, tesorino – replicò lei. La sentii avvicinarsi. A ogni passo, ringhiava: – Ho fameeee! – Ed eccola davanti a me. La sentii brontolare.
“Da che parte devo puntare lo specchio?” mi domandai. L’alito di Juli tradì la sua posizione. “Bleah! I mostri non conoscono lo spazzolino da denti?” pensai, disgustata.
– Ti prego – la supplicai. – Prima di mangiarmi, mi dici come ti chiami?
– Ma come, tesorino? Mi conosci benissimo – disse, e rise sgangheratamente.
– SONO BLOODY MARY!
“Ecco! Ce l'ho fatta!” pensai. “È tornata se stessa!”
– E adesso ti mangioooooooo!
No, non era cambiata.
Sbraitai come se fosse l’ultima cosa che avrei fatto in vita mia e volli far durare il mio addio al mondo il più a lungo possibile.
– PAPÀAAAAAAAAAAAAAAAA!!
La porta del seminterrato si spalancò. – Amanda, ti ho già detto…
Prima che mio padre finisse la frase, lo raggiunsi a metà scala e lo interruppi.
– Oh, papà, papà, ti prego, ti supplico! Bloody Mary mi vuole mangiare. Chiama la polizia, chiama i vigili del fuoco, usciamo di qui! Voglio la mamma!
– Amanda, falla finita! Hai capito? – Papà era arrabbiato. – Hai avuto un incubo. Adesso scendo con te e ti rimbocco il sacco a pelo. Va bene?
– NO! No, ti prego, papà, no. Il mostro… Juli… Il mostro… Ti prego!
– Va bene, va bene – disse per tranquillizzarmi. – Scendo prima io e ti faccio vedere che non c'è niente di strano. – Piangendo, rimasi in cima alla scala, pronta a correre in cerca di aiuto nel momento in cui mio padre avesse gridato. Non lo fece. – Amanda – disse. – Vieni giù. Sbrigati!
“È impazzito?” pensai. A ogni gradino, mi aspettavo che il mostro si avventasse su di me. E invece, in fondo alla scala, mio padre accese la torcia elettrica e illuminò la faccia angelica10 della mia sorellastra, che dormiva come una bimba innocente nel suo sacco a pelo. Allora era proprio cambiata…
– Ma papà…
Mio padre mi interruppe, impedendomi di spiegargli la situazione.
– Hai avuto un incubo, piccola – mi rassicurò. – Adesso torna nel sacco a pelo. Ne parleremo domani mattina. E, per favore, niente caos, adesso. Abbiamo bisogno tutti di dormire.
A quel punto, fui io ad arrabbiarmi. Mi asciugai le lacrime e il moccio con il dorso di una mano e, puntando l'indice dell'altra mano verso mio padre, dichiarai: – Senti, se mi costringi a restare qui con Juli, ti assicuro che nessuno, in questa casa, chiuderà occhio per il resto della notte. – E così, quando finalmente mi riaddormentai, ero sul divano del soggiorno. Al mattino, papà mi svegliò e mi disse di prepararmi per tornare dalla mamma. Non dovette dirmelo due volte. Scendere nel seminterrato per recuperare tutte le mie cose non mi fece paura: dalle finestrelle filtrava la luce. Arrivata in fondo alla scala, mi guardai in giro. Juli si era alzata. In una mano stringeva lo specchio e con l’altra si pettinava i lunghi capelli castani. – Ciao – mi disse – Hai dormito bene? Ti sei girata e rigirata tutta la notte. Quando mi sono svegliata, eri già salita. Stai bene?
Non le risposi. “Sarà stato soltanto un sogno?” mi domandai.
Juli sorrise. – Dài, giochiamo a “Bloody Mary”! Tu conta – disse, guardandosi allo specchio. “Bloody Mary…”.
– No! – urlai e le strappai di mano lo specchio. Sotto il suo sguardo sbigottito, andai in un angolo e gettai l’arnese in un cestino per la spazzatura. Poi rimasi immobile a guardare le schegge di vetro. In quel momento, risentii la terribile voce alle mie spalle.
– Non avresti dovuto farlo, tesorino – sentii ringhiare. – Ti aspettano tredici anni di sfortuna. Lo sai? A partire da adesso!
Rimasi paralizzata. Se avessi voluto, non sarei riuscita a battere ciglio.
– Chi… chi sei? – balbettai a fatica.
– Ma come? Sono Bloody Mary! E ho ancora tanta, tanta fame. Non mangio da cent'anni. Adesso ti sbocconcello il naso e ti rosicchio le orecchie. Per colazione!
Mi rassegnai. Evidentemente, ero destinata a quella fine. Mi voltai piano piano per guardare in faccia il mostro che mi avrebbe divorato. Davanti a me ecco… la mia sorellastra, Juli, con un sorriso a trentadue denti. Fra le mani stringeva Tigre, il suo pupazzo preferito, con lunghi artigli di plastica in fondo alle grosse zampe di peluche.
– BUU! – esclamò. – Ci sei cascata un’altra volta.
Mi sentii talmente risollevata che non mi arrabbiai nemmeno. La abbracciai forte e dissi: – Oh, Juli, ti voglio bene! – Lei dovette pensare che fossi pazza, perché rimase lì a guardarmi con aria perplessa.
– Ti do ancora cinque minuti! – gridò papà, di sopra. Corsi a radunare le mie cose per infilarle nello zaino. I vestiti, le Barbie e il giubbino, che era sul pavimento, vicino alla porta del ripostiglio. Attraversai di corsa la stanza. Quando mi chinai per raccoglierlo, qualcosa attrasse la mia attenzione. Sussultai – Graffi… – dissi. Sulla porta del ripostiglio, vicino alla maniglia, c’erano lunghe incisioni. Da una scheggia di legno sollevata del pannello spuntavano una folta ciocca di lunghi peli scuri e quello che sembrava un frammento di… artiglio. “Cos’è, un altro scherzo?” mi domandai mentre toccavo i peli.
– C'è qualcosa che non va? Mi chiese Juli, che mi aveva raggiunto ed era dietro di me. Mi girai di scatto, sperando di coprire completamente i segni sulla porta.
– No, cercavo la mia roba – mentii.
Juli sorrise con aria innocente. Mi abbracciò forte e mi baciò. Poi, con voce dolce, mi sussurrò a un orecchio:
– Ci vediamo fra due settimane… tesorino!

da B. Coville, Il libro dei mostri, Mondadori, Milano 1998
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